La prima firma del Corriere della Sera Paolo Mieli, scrive “E se decidessimo di non votare mai piu’? C’è un’Italia che in modo sempre più esplicito auspica un futuro post elezioni politiche con assetti  più o meno simili a quelli attuali. Mario Draghi dovrebbe  restare a palazzo Chigi per il resto dei suoi giorni. . . . Sostengono i fautori di questa ipotesi che centrodestra  e centrosinistra da soli, devastati dai litigi non sarebbero all’altezza del compito”.

Comunque sia il risultato  delle elezioni politiche dovrebbe essere ‘fortemente mitigato’. ’

E conclude  “Di fatto la consultazione servirebbe solo a ridefinire le quote ministeriali dei partiti di maggioranza. Per il resto tutto resterebbe com’è stato deciso prima del voto”.

Fuori dalle istituzioni, da poteri diversi da quelli democratici, senza tener conto dei risultati elettorali.

In questo scenario -dice Mieli -non sono le elezioni che determinano chi vince e chi perde, chi governa e chi no.

Chi governa si sa già prima del voto, senza che i cittadini abbiano voce in capitolo.

I numeri elettorali determinano solo come spartire cariche e ministeri.

Non è un caso che i cittadini abbiano a pelle compreso l’inutilità sostanziale del voto e che 6 su 10 abbiano ritenuto di non doversene curare. E -verrebbe da dire-con una qualche ragione.

Tutto questo è una manifestazione espressa di postdemocrazia. Per postdemocrazia si intende quell’impalco che lascia formalmente immutate le istituzioni e i metodi  della democrazia liberale, ma li svuota di ogni potere sostanziale decidendosi tutto in altro luogo-in piena oligarchia burocratico-finanziaria -con i cittadini, le loro aspettative e i diritti tenuti a debita distanza.

Si privano le consultazioni elettorali dei loro scopi basici e divengono un rito  inutile  e ininfluente.

Questo assetto non è un invenzione che Mario Draghi  ha riservato all’Italia.

È una dottrina  planetaria che conosce applicazioni importanti.

Va sempre ricordato  quello che dichiarò  Alan Greenspan, già alla guida della Federal Reserve, figura prima delle teorie e delle applicazioni di postdemocrazia finanziaria.

In occasione della campagna elettorale per la presidenza Usa ebbe a dire”Per fortuna negli Stati Uniti, grazie alla globalizzazione, le decisioni politiche sono perlopiù sostituite  dalle forze di mercato globali. Sicurezza nazionale a parte, chiunque sarà il nuovo presidente non fa più alcuna differenza. Il mondo è retto dalle forze di mercato. “

Questa chiarezza, ormai evidente anche in Italia, dovrebbe far giustizia degli sciocchi (o troppo furbi?) che accusano di ‘complottismo’ la visione trasparente della postdemocrazia. Quasi che quelli che la enunciano e ne danno prova, fossero da considerare alla stregua dei terrapiattisti.

Non c’è nessun complotto, nessun  Grande Vecchio.

C’è un’idea  del mondo che pone come valore assoluto il profitto. Chi conosce il miglior modo di  procurarlo merita il vertice della piramide e il governo degli ordinamenti e del pianeta.

La tutela e la promozione del profitto -oggi rinvenibile nella speculazione finanziaria –  fa fuori senza ripensamenti di sorta   interessi e diritti contrastanti con esso, compreso  il bagaglio di insegnamenti e istituzioni della pur rispettabile, ma superata, lenta, inutilmente complicata democrazia liberale.

Rimane l’osservanza della forma, ma la realta’ non lascia adito a dubbi.

Prenderne finalmente coscienza potrebbe essere utile per approntare antidoti e correttivi.