Piero Fassino, allora segretario D.S., in una telefonata diventata celebre, nel 2005 esultava “Abbiamo una banca”, con Giovanni Consorte di Unipol che gli preannunciava la prossima acquisizione ( poi non avvenuta ) di Bnl. Pareva un sogno, il partito aveva o avrebbe da lì a poco scardinato il sancta sanctorum degli avversari storici. Fassino o era malinformato o nemico acerrimo di chi nel suo partito una banca ce l’aveva da molti anni.
Già perchè il PCI prima, poi gli eredi avevano da decenni il controllo totale e esclusivo di un altro istituto bancario. Non si trattava di piccole banche ma del più antico banco di credito d’Italia: il Monte dei Paschi di Siena fondato nel 1472.
Fu il fascismo a facilitare la conquista del banco da parte del futuro Pci. Quando nel 1936, fu dichiarato ‘istituto di credito di diritto pubblico”, fu sancito anche che la sede centrale dovesse rimanere a Siena e che il vertice fosse nominato con la compartecipazione determinante delle autonomie locali senesi e toscane. Dal 1946 in poi il Pci, dominatore assoluto delle autonomie senesi e toscane dominò anche il Monte.
Una banca di diritto pubblico con sede centrale periferica, governata da vertici locali territoriali in coerenza con il potere politico anche spicciolo della città dell’interland e della regione rimane un unicum nel nostro paese. Fu così che Fassino pensò di non avere banche a disposizione.
Mps era un gigante nazionale e internazionale a disposizione del Pci/eredi senesi e toscani. Stiamo parlando di una città di 50.000 abitanti e di una provincia di 200.000 anime e di 3.750.000 di toscani. I beneficiati erano più o meno tutti, perchè tutti a Siena traevano vantaggio da quest’inusitato privilegio e l’opposizione era per onor di firma. Pressochè tutti più o meno legati al Monte, Sindaco, Giunta, Consiglio comunale, provinciale. E così pure i club borghesi della città, le associazioni riservate fiorentissime, la diocesi. E legati a doppio filo con il Pci-eredi. I quali coi contributi del Monte avevano fatto dell’Università un feudo esclusivo, motore di cultura e incarichi a guida Giovanni Berlinguer e della sanità senese un punto d’eccellenza monocolore. E poi soldi a tutti come se grandinasse.
Il Comune di Siena godeva di una dazione annuale pari al suo bilancio che così raddoppiava la sua capacità di spesa. Lo sport vide vertici altissimi sia con il calcio che con il basket. Tramite la Fondazione costituita in seguito (1995) non c’era bocciofila, circolo ricreativo ente di qualsivoglia natura che non avesse il suo contributo. Si aggiungano dipendenti ex dipendenti professionisti, Palio. Una litania unanime e senza fine.
Ebbe una certa circolazione il siparietto fra le dirigenze regionali della nuova opposizione della 2a repubblica recatisi a Siena per cercare basi per creare un nucleo credibile di minoranza. Un dirigente locale con esperienza ultraventennale e realista aprì e chiuse la riunione “Meglio vu andate via. A Siena un c’è nulla da fare . C’è i’ Monte e puppano, puppano tutti … ma proprio tutti. Anche noi che siamo qui”.
Era vero. Anche il nuovo centrodestra aveva avuto dai Ds il suo spicchio, con l’interessamento dell’eterno Gianni Letta e del rampante Denis Verdini. Il Pd senese contava più iscritti al partito che la pure rossa Firenze. Gli iscritti alla Cgil di tutta Italia avevano mutui con un punto in meno nel conteggio-interessi. In Regione la dipendenza Mps era tale che, tolta qualche briciola per tacitare la Cassa di Risparmio di Firenze, non c’era intervento, società mista, Fondazione che non fosse fifty/ fifty Regione – Monte. La dipendenza e l’intesa era tale che la Giunta Regionale presentava il programma nel salone Mps di Firenze, senza che nessuno avesse da ridire. Quando fu concepita la Fondazione Mps fu la Regione che fornì l’amministratore.
I pochi oppositori esenti da compromissioni dicevano espressamente che il confronto politico non era fra sinistra e destra ma fra Mps e i pochi che “non puppavano”. Questo mondo totalitario e senza crepe invece cominciò a creparsi. Ma non per le azioni di opposizione sempre accolte da silenti muri di gomma. Mps fu vittima dei suoi padroni e beneficiati. D’Alema pensò di rafforzare il suo dominio interno nell’intesa fra la “sua” Puglia e la Toscana. Fu così che con la competenza di un’arnese di primordine del mondo bancario fece acquisire a Montepaschi la Banca del Salento poi 121. L’operazione politicamente sostanziosa finì in un bagno di sangue per i buchi creati dall’avventura My Way e Four You titoli portati in dote dalla Puglia.
Fu il primo colpo alla stabilità della miniera che faceva più che grande, grossa, la sinistra toscana. Al disastro 121 si aggiunse quello Antonveneta. Anche questa assimilazione fu causata da motivi politici. Era il sigillo, della fusione politica Ds-Margherita. E per Mps fu il baratro. Il resto della storia riservò una ritirata massiccia dalle profonde radici “ideologiche e storiche” del (post) comunismo. La Fondazione non aveva un soldo e le cannelle erano più che chiuse, secche. Fu così che il sindaco di Siena fu un leghista. Roba da non credere.
Poi iniziò la solita nenia, fino all’intervento diretto dello Stato nel capitale sociale e un salvataggio molto old fashion dell’istituto con un trattamento da “vero raccomandato”. Ma non perchè c’era stata la sinistra a fare i guai, nè perchè Siena è in cima agli amori romani. Semplicemente perchè…. il Monte è il Monte.