Di Gian Domenico Caiazza
Ho letto con impegno il decreto della Giudice di Catania, oggetto delle furiose polemiche di questi giorni. Francamente, trattandosi di materia molto ostica e complessa, della quale non mi sono mai occupato prima come avvocato, avrei bisogno di ben altro approfondimento per formulare un giudizio decentemente serio sulla qualità e la fondatezza del provvedimento. Non capisco dunque come la Presidente Meloni abbia potuto con cognizione di causa dichiararsene “basita”, definendo quelle motivazioni “incredibili”, né come sia saltato in mente ad un noto parlamentare di maggioranza di prevedere, in caso di accoglimento dell’appello, nientedimeno che la radiazione della magistrata. Siamo di fronte, tanto per cambiare, all’ennesimo scontro tra tifoserie, che in materia di diritti e di giustizia è ormai la regola. Si parla e si straparla senza la minima conoscenza delle questioni, ragionando solo sulla ricaduta mediatica e social delle proprie reazioni, e sui dividendi politici che si immagina di poterne lucrare, senza la benchè minima considerazione dei ruoli e delle responsabilità istituzionali coinvolte in queste desolanti polemiche.
Ma anche la tifoseria opposta si è lanciata senza freni in una polemica furibonda in difesa -immancabilmente- della indipendenza della magistratura, senza sentire minimamente il dovere di interrogarsi su alcune altre questioni che la vicenda invece prepotentemente chiama in causa. Sappiamo infatti ora che la Giudice ha avuto modo di manifestare sui social -e addirittura in una manifestazione pubblica- idee molto precise e schierate in tema di immigrazione, in aperta polemica con la politica dell’attuale Governo e di suoi esponenti apicali; e così pure avrebbero fatto suoi stretti congiunti.
Padronissima la giudice di manifestare liberamente il proprio pensiero, ma ad una elementare condizione: che di tutto potrà poi occuparsi professionalmente, fuorchè di quei temi. A me è capitata la spiacevolissima avventura di difendere in un noto processo ambientale, di fronte a giudici che avevano pubblicamente manifestato proprio contro quel presunto disastro ambientale, e coniugati con esponenti di primo piano del movimento ambientalista cittadino, promotori di un combattivo Sito dedicato al tema del processo.
Sono condizioni inconcepibili ed inaccettabili in un Paese civile, radicalmente incompatibili con elementari regole di uno Stato di Diritto; ed è proprio così che si semina vento e si raccoglie tempesta. Esiste l’istituto dell’astensione, la categoria della opportunità, il dovere del Giudice non solo di essere -come dice la stessa Corte di Cassazione- ma ancor prima di apparire imparziale. Un sistema sano innanzitutto previene simili situazioni, ed eventualmente chiede conto della infrazione di queste basilari regole di civiltà giuridica.
A meno che il famoso idiomatismo sulla moglie di Cesare valga per tutti, ma non per i magistrati e le loro mogli.