In un’infuocata Assemblea del PD l’on Roberto Giachetti proclamò :  ‘Avete la faccia come il culo’. Stigmatizzava la faccia tosta, i comportamenti contrastanti e senza pudore di certi suoi compagni di partito.

Nacque il ‘premio Giachetti’. Quando qualcuno si distingue per impudenza gli si assegna moralmente il  ‘Premio Giachetti’.

La premier prometteva mari e monti contro la finanza che governa e oggi viene considerata dai più  una continuatrice delle politiche di Mario Draghi, ‘il vile affarista ‘ di cossighiana memoria.

Nè lei né i suoi disdegnano la qualifica, tanto da  meritare un trionfo di premi Giachetti.

Ci si muove in un contesto dalle caratteristiche definite, battezzato da Colin Crouch “postdemocrazia”.

La postdemocrazia considera superata l’esperienza delle istituzioni rappresentative liberali. Salva le esteriorità più per utilitarismo che per convincimento. La vita istituzionale continua a svolgersi formalmente e con sempre minore partecipazione popolare, con elezioni, eletti, governi votati dal Parlamento e così via.

Ma predispone catene di comando diverse,

con i centri decisionali reali appostati altrove. Nelle lobby, nelle amministrazioni, nel potere finanziario.

I c. d. rappresentanti del popolo, svuotati di ogni potere reale, divengono comparse per copioni scritti in sedi estranee al Parlamento e fuori dai percorsi democratici.

 Partiti e partitanti per darsi una ragione di esistenza in vita si azzuffano su materie periferiche. È per questa via che la dialettica  ha trovato il suo terreno sui temi etici.

Un noto editorialista scrive’In Europa i vincoli internazionali della finanza e dei mercati, le decisioni che vengono prese a Bruxelles o a Francoforte, restringono i margini di azione della politica nazionale e costringono i partiti a occuparsi di altro. “

Un altro ribadisce “La lotta politica, anche nel nostro Paese, si sta ormai caratterizzando sempre più come «guerra culturale», scontro di psicologie e di valori, e sempre meno come conflitto sociale tra interessi “.

Le decisioni importanti prese altrove, fanno dei temi etici la riserva di caccia della politica semidisoccupata.

La premier ha preso atto, è stata associata all’Aspen Institute, si è conformata all’andazzo.

Rimarca la gravità della situazione il discorso d’esordio di presidenza al G7.

Lo speech in mezzo alla Guerra Grande e alla crisi epocale, è incentrato su una fatwa all”utero in affitto’.

Cioè a chi si fa impiantare ovuli altrui per generare figli per altri genitori. Problema che riguarda in Italia circa 250 coppie l’anno.

Sarebbe ‘delitto universale’, perchè la prestazione a pagamento sfrutta la povertà e distrugge la dignità della puerpera.

Se ne deduce che se invece che in affitto l’utero fosse concesso in comodato gratuito da chi non è povero, dovrebbe essere tutto ok.

A questa etica da curato di campagna, si è aggiunto il concetto di pari matrice che la genitorialità non sarebbe un diritto, nè un atto di volontà.

Non si coglie neppure la contraddizione fra le lamentazioni sulla mancanza di procreazioni e la lapidazione di chi vuol procreare.

Viene osservato: “La destra italiana sui temi etici continua ad avere un’agenda molto schiacciata sulle posizioni del Vaticano”.

La premier recita la parte assegnata al suo personaggio: il copione prevede una destra arretrata e una sinistra avanzata, unica faccia di un solo raggruppamento a cui entrambe appartengono: Ppu – partito postdemocratico unito-.

Quanto differente sarebbe stato se la premier avesse esordito fra i grandi del mondo  citando una frase del premio Nobel 2015, Angus Deaton, economista già della banda del PIL “Se obbligassimo tutti i bambini del mondo a lavorare 20 ore al giorno nelle fabbriche e nelle coltivazioni agricole  il pil globale crescerebbe di certo”.

E avesse aggiunto che era arrivato il momento di abbracciare la misurazione della crescita secondo il ‘wellbeing system’ (metodo del benessere) e abbandonare la misurazione quantitativa, che è poi il vero modo di rendere ecologica vita, economia e consumi.

E avesse terminato esprimendo contrarietà alle follie della green economy foriera di grossi guadagni per pochi e povertà abissali per gli altri.

Se cosí avesse fatto, niente premio Giachetti, niente deriva postdemocratica, niente posizione gregaria.

Non sarebbe stato difficile. Ma lei non sarebbe stata lei.

Da underdog a undermaster.

Submissive, but in the saddle.

Tanto lei parla le lingue