Ai giardini impropriamente chiamati “Porcinai” in pieno centro si sono “sbuzzati” a piacimento con fuga del feritore, poi costituitosi.
Pare non accettabile che una cittadina della civilissima Toscana, nota un tempo come ” isola felice,” abbia raggiunto questi livelli di insicurezza e di non vivibilità.
È cambiato il mondo è vero, ma vale sempre la regola aurea che una comunità solida e ben amministrata, non dovrebbe cadere in un simile abisso.
Le cause sono moltissime e talune sono anche variate nel tempo.
Registro che una è rimasta omologa nei decenni: la inadeguatezza di amministrazione e politica.
Oggi sa di beffa ripensare al sindaco in carica che rassicurava che con lui l’ordine sarebbe finalmente tornato dopo un governo denso del dna buonista di redivivi dc paludati di neosinistrismo.
La sua credibilità promanava sia dal pulpito, sia da non dette ma sottese garanzie di storia di famiglia.
Non solo non è stato cosí, ma le cose sono precipitate sempre più, fino al collasso, nel disinteresse totale e nell’oblío delle presupposte promesse.
Oggi si respira una rassegnazione che rammenta quella dei tempi dei governi cittadini dei Vannucci e dei Ricci.
L’uno assente e disinteressato al ruolo, l’altro interprete di una sindacatura estranea al governo dei bisogni spiccioli e dedita ai grandi disegni.
Così risultava semplice e politicamente corretto ripararsi dietro a prefetti corazzati di statistiche e abili esecutori del mutuum auxilium (aiuto reciproco) fra potentati ancorchè di misero conio.
Il cambiamento di colore comunale non cambiò nulla. L’entrante si rivelò un continuatore anche in questo campo.
Molte le scusanti, le prime che anch’egli digiuno dell’abbecedario della politica, troppo fiducioso di sè, si interessò d’altro.
Adesso fra promesse dimenticate e latitanze americane, tutto procede more solito. Nè si vede, come qualcuno sembra supporre, un addio prossimo del sindaco, vista Strasburgo o trombatura.
La compagnia del mutuum auxilium continuerà a funzionare.
La prefetta, non dissimile dai predecessori, porterà medie e statistiche in inutili consessi per spiegare che il disordine nella cittadina del sud Toscana, è solo ‘percepito’ e che i reati sono sottomedia.
Come quel prefetto che mi disse che quello che succedeva a Arezzo erano ‘bazzecole’ in confronto a quello che succedeva a casa sua (Torre del Greco o Castellamare di Stabia). Risposi: “Appunto a casa sua. Ma qui siamo a casa nostra. Arezzo non è in Campania, nè abbiamo fatto il callo al malaffare come probabilmente voialtri’.
Oggi come allora non aiuta una compagine sociale refrattaria a reazioni, incline al gregariato utilitaristico, che favorisce il perpetuarsi di un potere complessivamente inadeguato.
Stavolta c’è di più.
Il mutuum auxilium fa un balzo in avanti e il questore dichiara che: a). le forze dell’ordine ‘ presidiano l’area’; b) bisogna ‘fare rete’ c) il comune fa la sua parte poichè c’è un progetto di riqualificazione dell’area.
Siamo nella città nasometrica e quindi è comprensibile che possa transitare di tutto. Ma qui sembra che si sia andati oltre.
I fatti oggettivi dicono che una sera, verso le 20,15 di un giorno festivo e in ora legale, in pieno centro a pochi metri da questura e prefettura, in un spazio ristretto e già teatro di illegalità, persone hanno tentato di ammazzarsi. La colluttazione si è accompagnata ed è stata preceduta, da urla e
strepiti allarmanti ed è stata violenta e reiterata nei colpi inferti. Dipoi, colui che ha tentato l’atto omicidiario, si è allontanato senza che alcuno delle forze dell’ordine fosse a tiro per l’arresto. In queste condizioni, parrebbe avventato sostenere di ‘presidiare l’area’.
L’affermazione di ‘fare rete’ sa di ‘frase fatta’, incoerente con la realtà e non depone per un contesto rassicurante
Che il Comune sarebbe in ‘rete’ perchè ha un progetto. . . etc. . appare incomprensibile e comunque fuori luogo e fuori contesto.
La realtà emergente è che ci sarebbe ogni ragione per preoccuparsi per quanto viene fatto, per quello che non si fa, per cosa è detto.
Absit iniura verbis, ma pare che si giochi, come diceva all’oratorio l’indimenticabile don Cecchi, ‘a coglionella’.
È difficile immaginare una via verso la risalita di una comunità in costante degrado e senza nocchieri capaci di stare al passo con i compiti che incomberebbero.
Amenochè qualcuno esca dalla fase semiletargica, prenda il pallino e costruisca lui sí una ‘rete’, determinata negli intenti, senza interessi obliqui nei partecipanti, senza timori reverenziali e pregiudizi ideologici nei contenuti e faccia suo quanto in piena disperazione di prigioniero di guerra un grande Aretino, Attilio Droandi, incise sulla gavetta : ‘Arezzo Arezzo’.
Invocazione che fu l’áncora per restare vivo in mano agli aguzzini.
Potrebbe essere senza retorica, ma con un po’ di sentimento, la chiave per la resurrezione di una comunità che sta scendendo agli inferi.