Il termine fu coniato nel gennaio del 1995 in un editoriale di Le Monde diplomatique da Ignacio Ramonet, che ne era direttore responsabile.

La sua critica al pensiero unico intendeva puntualizzare la crescente riduzione del dibattito politico a temi imposti dall’alto e troppo spesso dati per scontati e non contestabili da parte della cultura dominante. Uno dei casi più noti è il “There Is No Alternative” (non c’è alternativa) di Margaret Thatcher ex primo ministro del Regno Unito, spesso riassunto in acronimo come TINA ed ampiamente adottato da altri politici (per esempio Gerhard Schröder, ex primo ministro della Germania.

Il concetto, ormai abusato, si va diffondendo come forma di accusa un tanto al chilo da destra a sinistra e da sinistra a destra, accusa che poi entrambe le estremità indirizzano verso il centro liberale, confondendo maliziosamente (ed eversivamente) queste due parole così intriganti  “pensiero unico”  con il pensiero della maggioranza, che non dovrà mai essere dittatura, ma qualcosa dovrà pur contare. 

Non solo in politica: i laici accusano la chiesa di aver imposto per secoli il “pensiero unico” del dogmatismo religioso, la chiesa accusa i laici di voler imporre il pensiero unico della modernità in tema di diritti civili. Alla fine, per quanto ci si sforzi, non si riesce più a comprendere quale sia l’unicità di cui si parla, anzi, spesso non si capisce con chiarezza neppure quale sia il pensiero.

A volte l’accusa converge in linea di principio salvo poi divergere nei fatti. La destra considera la globalizzazione un “pensiero unico” laddove mette in crisi sistemi economici consolidati attraverso forme di concorrenza sleale, provocando il naufragio di tradizioni industriali radicate nei distretti e propone la distruzione delle economie emergenti grazie alla chiusura degli spazi doganali e territoriali.

La sinistra pure considera la globalizzazione un “pensiero unico” accusando le multinazionali di ridurre i paesi già arretrati in condizioni vergognose tramite pratiche quali lo sfruttamento minorile, lo sfruttamento del paesaggio, il favoreggiamento delle guerre, l’utilizzo da parte delle banche di sistemi bancari offshore privandoli di triliardi di dollari e il loro potere è così forte da condizionare le scelte dei singoli governi verso politiche sostenibili da un punto di vista ambientale ed energetico, imperialiste, non rispettose delle peculiarità locali e dannose per le condizioni dei lavoratori.

Destra e sinistra unite dall’accusa di “pensiero unico” rivolto questa volta ai liberali, che han troppa fiducia negli elementi regolatori interni ed esterni del libero mercato.

Anche la visione europeista è ricondotta su binari opposti e paralleli in nome del “pensiero unico”. 

La destra nazionalista ha sempre considerato l’Europa elemento alieno alla sua natura, dato che vede nei limiti territoriali e doganali il suo stesso motivo di esistere e considera pertanto l’unione una forma di autocastrazione ideologica. Come un fiume carsico che saltuariamente riemerge, cambiando nome per non cambiare nulla, il nazionalismo è stato ribattezzato sovranismo, la demoplutocrazia il pensiero unico.

La sinistra storica, almeno fino a pochi anni fa, vedeva negli stati uniti d’Europa il primo nemico al compimento della rivoluzione proletaria agognando una unificazione solo nel nome dei soviet e quindi da avversare come qualsiasi altra forma di libera aggregazione di popoli democratici.  

I liberali, a loro volta, vedono nella burocrazia europea il “pensiero unico” dominante a causa della superproduzione normativa con cui si vorrebbe pretendere di raddrizzare le banane.

Nulla pare abbiano insegnato le svariate decine di milioni di morti e un continente distrutto, che queste idee ci hanno donato nel secolo passato.

A proposito: ci sarà sicuramente qualche solone che dirà che anche citare i fantasmi del passato è “pensiero unico”. Alla fine non me ne dispiaccio, perché quando tutto è pensiero unico, significa che il pensiero unico non esiste.