La politica dei bonus è quanto di più contrario ci possa essere a una corretta gestione delle risorse pubbliche, delle iniziative economiche, delle provvidenze sociali.

Il ‘bonus’ è il viatico della discriminazione e del volere potestativo di chi governa. È  l’incarnazione delle elemosine elargite, è misura da ‘distribuzione del grano ‘alla plebe, di regalíe motu proprio dei despoti.

Il bonus è il preferito dal modello economico postdemocratico, dirigista, finanziarista, proclive a scoraggiare iniziative e a erogare benefici di sopravvivenza.

Il governo in carica, a differenza di Mario Draghi, si sarebbe dovuto adoperare per distribuire canne da pesca e non tranci di pesce pescato.

C’è poi una questione di costume. Nel nostro paese le erogazioni, i bonus sono fonte di conseguenze spiacevoli, per usare un eufemismo. Se si tratta di ‘ricevere’si trova sempre il modo di avvantaggiarsene. C’è una specie di gara a approfittarsene. Si aumentano i prezzi, si  intraprendono iniziative inutili ma rimborsabili, si gonfiano le fatture. In Italia elargire è causa di sprechi, truffe, spese ingigantite. Da noi la gestione economica può essere soltanto strutturale, mediante riduzione dei costi, mai per rimborsi o bonus.

La politica dei bonus rende la programmazione impossibile, poichè un semplice rescritto del principe può variare in corsa le coordinate sulle quali si era programmato.

Tutto questo non incentiva il senso di fiducia nello stato nè si costruisce quel rapporto di affidabilità, per il quale lo stato dovrebbe cessare di rappresentare da un lato il despota e dall’altro il pollo da spennare.

I bonus tutti sarebbero da bandire.

Ma finchè esistono vanno rispettati . Tutti.

Col superbonus Il governo ha  sbagliato due volte : quando l’ha confermato e quando l’ha tolto. Si accinge a sbagliare una terza quando troverà soluzioni riduttive o palliative, per tentare di attenuare i danni. Aggiungendo danno a danno, sfiducia a sfiducia brutte figure a brutte figure.

L’acme del disdoro si è raggiunto quando si è contrabbandata la non-notizia  del costo insostenibile per le casse dello stato della sopravvivenza del superbonus. .

Perfino il Corriere della sera riconosce che il governo non ha detto le cose come stanno”Va però detto per amore di verità che anche senza dar credito ad analisi che valutano il bilancio del superbonus addirittura positivo per le casse pubbliche, i soldi spesi per la maxi-agevolazione  ( che non escono dalle casse dello Stato n. d. r. )costituiscono mancate entrate per un periodo di cinque anni mentre l’Erario incassa  [da subito]l’Iva e l’Irpef di chi è coinvolto nei lavori e risparmia sulla cassa integrazione di chi invece perderebbe il lavoro. ‘

Se la stima di 25. 000 imprese costrette a chiudere fosse vera ( ma si dice siano 30/35000) gli oneri per lo stato, quelli sí sarebbero difficilmente sostenibili. La verità è un’altra. L’Eurostat l’istituto che determina i conteggi contabili dell’Unione Europea  ha deciso che le cessioni dei crediti  del superbonus agli istituti bancari non dovessero essere contabilizzati a credito, ma a debito. La partita  rimane contabile non reale. Essa comporta che sempre contabilmente gli istituti di credito esauriscano la capienza e siccome non rimediano con le proprie forze, ecco la revoca del bonus.

In sostanza si mette in ginocchio l’economia reale per seguire i perversi criteri contabili dell’Ue, cambiati all’improvviso, per favorire l’inerzia bancaria a tutto danno dell’Italia e senza giustificazione. Allora si escogitano i 120 miliardi e i 2000 euro a persona di debito. Tutto teorico, futuribile, contabile, irreale.

La verità ormai conclamata è che siamo soli e chi avrebbe dovuto fare lo sceriffo per i diritti dell’Italia ha scelto la mission di controllare il territorio per conto della banda del PIL.