Nel panorama delle regioni italiane, il Covid ha suggerito novità’. Non certo l’immagine di una Sicilia un po’ imbrogliona, né di una Calabria allo sbando. Piuttosto è una specie di caduta degli dei: la Lombardia in pieno flop e il fallimento della sanità della Toscana. Due eccellenze vantate per anni, schiantate fra gli scogli del virus.

I più esperti fra gli osservatori e i politici avevano già descritto il rebus Lombardia.  Le amministrazioni si tengono su buoni livelli se all’efficienza e alla competenza si uniscono tensione etica, attenzione al merito, riconoscimento delle capacità presenti e passate. Si crea allora un mix che fa correre la vettura. Non è così se nella miscela si uniscono i malvezzi di un movimento con capitale Milano che ha per icone consigliere oggi passate ad altre carriere, personaggi alle prese con guai giudiziari (non mi riferisco a Formigoni) o incapaci, ma con licenza di far danni in forza di rapporti privilegiati col proprietario del casinò. Né se si aggiunge che in quella regione il responsabile della sanità è stato per anni il più grosso imprenditore di istituti sociosanitari privati senza che alcuno alzasse un dito e che costui e famiglia, anziché accantonati, sono stati accolti nell’altra compagine dell’alleanza, pronta a inglobare chi era troppo imbarazzante anche per la pur disinvolta capofila.

Tantomeno se si aggiunge che una pur brava persona, corredata di un privato finanziario non consono al ruolo e alla politica in generale, non può rappresentare un popolo di 9 milioni di persone produttore di un sesto del PIL nazionale. E neppure infine se in nome del potere puro e semplice non si sbaraccano personaggi autorevoli e politici con la P maiuscola, non disposti a genuflessioni, ma capaci, eticamente corretti e si imbarcano quanto di più fedele ma meno consono e rappresentativo esista nel mercato. Se si considera tutto questo e il dato obbiettivo di una medicina del territorio sottovalutata da sempre, il flop lombardo sta al sedicente centrodestra come il basto all’asino.

La Toscana si è rivelata il colosso dai piedi d’argilla, incapace di fronteggiare gli eventi extra ordinem, pronta a andare in confusione, debole di fronte alle pressioni delle lobby che da sempre circondano la sinistra di potere (e non solo quella). A ciò si aggiunga che Giani, il presidente, non è Rossi il past president, monarca di polso di un sistema di sanità da lui coordinato, inventato sostenuto. Nel sistema sanitario toscano c’e’ molto del vetero comunismo di Rossi. Non lo dico in senso dispregiativo. La sanità toscana ha al centro non il cittadino, ma la struttura, il bulldozer burocratico che, secondo la teoria del soviet, rende possibile il funzionamento della macchina sanitaria. C’è del vero in questo. Il ciclo rallenta un po’, ogni tanto ha qualche falla, ma nel complesso gestisce l’ordinaria amministrazione. Il caos si verifica quando gli eventi impongono velocizzazione, flessibilità, prontezza nella gestione dell’emergenza. Allora il sistema va in tilt e tutto sballa. Il terrore di fronte allo sfascio incombente e l’incapacità han fatto il resto. Nel timore di un assedio si è cercato di accontentare tutti. Il personale sanitario fin nei ruoli amministrativi e i giardinieri, giudici, settore giustizia e via così. Si è dato il via al valzer dei privilegi e delle iniquità e a uno sputtanamento generale di cui non v’è ricordo.

Certo non ha giovato dosi sì dosi no, apri e chiudi, fa bene fa male e tutta la babele che ci ha gettato nel gorgo che non dispiacerà a chi lavora per veder passare quanto prima il cadavere dell’Italia.

Intanto la gente muore alla media di 3 o 4mila la settimana. Ma forse neppure questa lezione basterà a un popolo restìo a prendere in mano il proprio destino.