Volgere lo sguardo a quanto avviene nelle vicende italiche, da pochi mesi in salsa destrorsa (forse col governo più a destra dopo il ventennio) da parte di chi, come il sottoscritto, veramente e profondamente di destra non lo è mai stato rischia di essere un mero esercizio di stile, nulla più. Tuttavia ci provo lo stesso, col rischio di annoiare quanti mi leggono. La classe dirigente ex MIS, ex AN, ex PDL, rigenerata a-la-meloni-maniera, è arrivata tra gli osanna e i peana all’apice del cursus honorum dopo decenni di sputi e ghettizzazioni frutto dello stigma del fascismo. Eppure quel che d’amblé appariva fresco e gagliardo, quel fiume in piena di una donna cor i cojoni (direbbero a Roma), sembra ora appassire come una rosa sotto i colpi dei primi soli d’estate e quel programma energico fatto di orgoglio italiano e difesa dei più deboli dopo anni di governi servi della peggiora Europa sembra avere il gusto scialbo di un semolino senza sale. Eppure non occorre una laurea in scienze politiche bastando qualsiasi persona attenta e ricolma di sapido buon senso per capire che il rischio di una rivoluzione mancata e di una favola senza lieto fine affonda le radici più lontane che nella contingenza attuale che avrebbe imposto al governo un più basso profilo nei modi e nei toni. La radice del male che affligge la patria è atavico, quel male che la volle, allora come adesso, serva e colonia. Non meraviglino perciò le dichiarazioni accomodanti, le reverenze del gotha internazionale che prima schifava chi ora fa sedere ai tavoli che contano. Le posizioni sulla guerra russo-ucraina, che sconfessano decenni di anti-atlantismo e un recente passato di sovranismo anti-europeo, sono emblematiche del fatto che per quanto possiamo battere i piedi e strepitare, Giorgia o no, le decisioni passano da Londra e Washington con Roma che fa da passacarte magari con la compiacenza, sempre gradita, di qualche ministro più compiacente. La vera sfida sarebbe capire che non è limando lo zero virgola a Bruxelles o sventolare un tricolore al family day che si fanno gli interessi patri ma, altresì, riacquisire quell’autonomia e quel nazionalismo vero che nell’Italia repubblicana furono (con tutti i loro difetti) prima di Craxi e poi di Berlusconi. L’alternativa è andare avanti così, col freno a mano tirato per non sbandare ma nemmeno per cambiare davvero rotta. Intanto per la riscossa del centrodestra occorrerà aspettare tempi migliori.