Oltre a stringere ulteriormente il consolidato rapporto con Orban per portarlo nei Conservatori europei, a Budapest la premier Meloni ha rimarcato la necessità di difendere “le famiglie, le nazioni, l’identità, Dio e tutto ciò che ha costruito questa civiltà”, ed è subito partita la batteria di reazioni tra l’ironia (“la Meloni vuole arruolare anche Dio tra i suoi Fratelli”) e la politica (“ha rispolverato le parole-chiave del sovranismo”).

Ora, derubricare la sortita della premier a una scorribanda nel sacro è decisamente limitativo, perché è un modo di eludere l’essenza del problema: si finge di non capire cioè che tirare in ballo Dio non può essere liquidato come un rigurgito sovranista ai limiti del blasfemo, essendo un’esortazione pienamente europeista, visto che l’Europa ha iniziato a smarrire la sua funzione storica proprio nel momento in cui ha tolto le radici giudaico-cristiane dalla sua Costituzione, gettando nell’oblio relativista la memoria e la consapevolezza che la nostra civiltà nacque dall’incontro fra due grandi eredità spirituali e culturali: quella greco-romana e quella, appunto, giudaico-cristiana.

Scrisse Berlusconi a questo proposito: “Queste due grandi tradizioni, le straordinarie realizzazioni filosofiche, letterarie e artistiche, il progressivo affermarsi dello stato di diritto e delle garanzie dalla Magna Charta ad oggi, la crescita della democrazia parlamentare sono la storia e le radici comuni di tutti gli europei. L’Europa è quella di Dante, di Goethe, di Shakespeare, di Cervantes, è quella delle grandi cattedrali, simbolo dell’unità cristiana del medioevo…”. Considerazioni storicamente ineccepibili, eppure quelle radici sono state inopinatamente divelte, e resta di sempre più straordinaria attualità l’alto monito del cardinale Ratzinger, che prima di salire al Soglio pontificio, con la lucidità profetica del grande intellettuale cristiano, avvertì che così “il Vecchio Continente rischia il congedo dalla storia”.

Pertanto quando Meloni ha parlato a Budapest di “difendere Dio”, ha difeso soprattutto l’Europa e la sua storia, perché l’Europa indebolendo sé stessa e i suoi valori fondanti ha dato fiato ai suoi nemici, interni ed esterni, e il rischio – segnalato molti anni fa dal filosofo Marcello Pera – non è solo di perdere le radici (cosa che già sta accadendo), ma anche l’identità e la stessa ragion d’essere: combattendo essa stessa una battaglia contro il Cristianesimo, non ha saputo riconoscere il pericolo che viene da fuori. In un’Europa che si dice pluralista, in realtà le leggi si piegano alla dittatura laicista dei desideri che diventano diritti, contestando invece ai cristiani perfino il diritto di dissentire. Fu Benedetto XVI, ancora, a segnalare la profonda contraddizione di un’Europa che proclama l’universalità dei diritti umani e a parole li difende, ma poi vìola il primo dei diritti inalienabili, che è proprio quello di libertà di coscienza e religiosa.

Per capire la deriva in cui siamo immersi, e per comprendere appieno il messaggio meloniano, basta dare uno sguardo a cosa sta accadendo oltralpe, dove il presidente Macron viene duramente contestato dalla sinistra radicale per la decisione di presenziare alla Messa di papa Francesco che sarà celebrata a Marsiglia: l’obiezione è che il presidente di una Repubblica laica non deve partecipare a una funzione religiosa, e Macron ha dovuto difendersi dicendo di non andarci in quanto cattolico, ma in quanto presidente laico, e assicurando che non seguirà “alcuna pratica religiosa” durante la celebrazione. Ecco: in un’Europa che per rispetto dell’Islam ha tolto crocifissi e presepi dalle scuole, e perfino messo al bando nomi cristiani come Maria e Giuseppe, un presidente ha perfino l’imbarazzo di dichiararsi cattolico. In questo caos politico-religioso-valoriale, vale forse la pena rivalutare con meno superficialità la difesa di Dio evocata dalla premier.