Qualcosa si muove sul fronte della giustizia, anche se c’è il rischio che l’appello del Capo dello Stato per velocizzare la riforma si scontri con le contraddizioni di una maggioranza eterogenea su tutto, ma che nella contrapposizione tra giacobini e garantisti trova sicuramente la più insidiosa pietra d’inciampo. Nella Costituzione materiale che si è affermata da Tangentopoli in poi, l’equilibrio dei poteri è palesemente saltato a beneficio dell’ordine giudiziario e dei suoi terminali mediatici, con la politica relegata a un ruolo più succube che subalterno. Per cui anche le rivelazioni di Palamara, una bomba atomica che in qualsiasi altra democrazia occidentale avrebbe aperto un vero e proprio scandalo di Stato, qui hanno avuto l’effetto di una pistola ad acqua, provocando solo qualche dimissione marginale ma lasciando intatto il sistema. La riforma del Csm, ad esempio, che dovrebbe spazzare via il peso abnorme delle correnti, è ancora in gestazione e sembra la montagna che sta per partorire un topolino, perché lo spirito di corporazione ha finora prevalso sulla necessità di voltare pagina.

Riportare la giustizia italiana nell’alveo del dettato costituzionale, dopo i ripetuti strappi del ministro Bonafede a partire dal “fine processo mai”, sarebbe una urgenza democratica, ma vanno anche superate le contraddizioni della riforma dell’88 che ha lasciato troppe zone grigie fra processo accusatorio e inquisitorio, un ibrido che ha spalancato le porte allo strapotere dell’accusa. Ora ci sarebbe una duplice strada obbligata: il ripristino effettivo del principio di non colpevolezza e il ritorno al giusto processo di ragionevole durata. Così come nel processo civile vanno garantiti in tempi non biblici i diritti dei singoli e la competitività del Paese

Riformare la giustizia in questo Parlamento sembra una missione impossibile, visto che la Camera non riesce nemmeno a recepire la direttiva comunitaria sulla presunzione di innocenza a causa del niet grillino. Ma sarà difficile ignorare la sentenza della Corte di giustizia europea sulle intercettazioni, che ha posto limiti inderogabili alle incursioni delle Procure nei dati privati dei cittadini. Togliendo al pubblico ministero la possibilità di acquisire liberamente i tabulati e le chat, la sentenza ha opportunamente rimesso al centro delle indagini preliminari la presenza di un giudice imparziale, in linea con i principi espressi dalla Consulta ma in aperto contrasto con l’uso indiscriminato dei trojan introdotto dal governo Conte.

Il metodo Cartabia – mediare e rinviare – per ora ha avuto successo, ma saranno cruciali i prossimi mesi per verificare se porterà qualche risultato. Intanto la ministra ha messo sul tavolo una proposta coraggiosa, che da sola avrebbe effetti dirompenti sulla casta intoccabile dei magistrati: quella delle valutazioni di professionalità delle toghe basate su produttività e qualità delle scelte, che sono già previste ma solo formalmente, perché nel 99,6% dei casi sono immancabilmente positive. La pagella sarebbe un’inversione di rotta epocale rispetto al metodo Palamara e all’istinto di conservazione di una corporazione intoccabile.