Agli albori della professione, un collega, come me in vana attesa nei corridoi del palazzo di giustizia, ragionando di tasse mi impartì una lezione: “con lo Stato è una guerra continua. Prima ne prendi coscienza e prima reagisci. E ricordati che in guerra, ogni mezzo è lecito”. La verifica “sul campo” è di costante attualità. Facile toccare con mano la rapacità dello stato quando pretende e la sua inerzia quando dovrebbe rendere, per quel contratto sociale teorizzato secoli fa. In occidente, il rapporto Stato/cittadino si declina essenzialmente in due modi: quello liberale, radicato principalmente nei paesi anglosassoni, dove lo Stato chiede poco ed offre in egual misura, lasciando al cittadino libertà di scelta; e quello delle socialdemocrazie nord europee, dove a fronte di una imposizione fiscale elevata, lo Stato assiste il cittadino “dalla culla alla tomba”.  L’originalità italiana sta invece nell’aver creato una terza via, una diabolica crasi: paghiamo tasse più alte degli svedesi, ricevendo però i servizi forse addirittura peggiori degli yankee. C’è chi ha contato addirittura 100 tra tributi e imposte, che gravano sugli italiani: si va dalle accise sulla benzina, che ancora finanziano la guerra in Etiopia del 1935, ai diritti per i contrassegni apposti sulle merci, all’imposta per l’adeguamento dei principi contabili, all’imposta regionale sulle emissioni sonore degli aeromobili. La qualità, la completezza dei pubblici servizi, controprestazione dello Stato, è arcinota e non vale la pena squadernare neppure in pillole un cahier de doleance. C’è malfunzionamento, corruzione, distorsioni politiche, una burocrazia onnipotente e regina delle procedure, sopraffazione e consuetudine alla sudditanza. Fatti salvi tutti quelli da salvare. L’obiezione di solito proposta, alla tesi del cittadino vessato dallo Stato insaziabile, è che in Italia le tasse sono alte perché le pagano in pochi. “Pagare tutti per pagare meno” dicono… L’esperienza e i numeri dicono che non è così: più aumenta il gettito, più lo Stato diventa famelico; più aumentano sprechi e disservizi. Non si è valutato che l’equità nell’imposizione e l’adeguatezza dei servizi avrebbero naturalmente aumentato il gettito, risparmiando ai cittadini l’immagine di uno stato prevaricatore, impunibile, ma capace di imporre tributi esosi e punire a sproposito. “pagare tutti per pagare meno”: i dati ufficiali dicono il contrario; non solo rimaniamo i primi in Europa per la pressione fiscale complessiva; non solo siamo ben al di sopra della media degli altri Stati dell’UE; ma, ciò che più conta, la pressione non è mai calata in questi anni. Sia che ci fosse il centrodestra che il centrosinistra o i “nuovi barbari”. Lo Stato italiano è un pozzo senza fondo, un “buco nero” che ingurgita tutto senza rendere nulla. L’assunto del collega è attuale e raffigura il lievito madre degli scompensi nazionali. Dallo stato ci si difende con ogni mezzo, per sopravvivere. Non va bene ma così è o forse vogliono che così sia, per perpetuare soprusi prepotenze arroganze, uso impudico del potere.