Quando Hamas lanciò l’improvvisa invasione dello stato di Israele, i più pensarono che la reazione degli aggrediti sarebbe stata una rappresaglia, feroce, ma a termine.

Non si comprese che l’azione di Hamas non avrebbe comportato soltanto una ritorsione punitiva.

La violazione del suolo nazionale, l’attacco proditorio, le stragi che infrangevano certezze inscalfibili, fu letta dagli aggrediti come una dichiarazione di guerra. Una specie di Pearl Harbour.

La ferita era stata la peggiore di sempre.

Risvegliatosi dall’illusione della sicurezza nei confini, un popolo così non si sarebbe sarebbe limitato a azioni punitive.

Il 7 ottobre 2023 era scoppiata una guerra.

Le azioni dell’uomo sono da sempre comparabili fra loro, anche se si verificano lontane nel tempo e nello spazio e riguardano temi lontanissimi.

Parliamo di vicende italiane, di Mes, Patto di stabilità, U. E. , Francia, Germania.

In U. E. si tratta il nuovo Patto di Stabilità.

L’Italia si sente in ballo, parte attiva e codecisoria.

Il credito internazionale che la premier ha inseguito dovrebbe dare i suoi frutti.

Cosí come l’inversione a U sulla validità del vincolo dell’Unione, l’atlantismo a tutto tondo, l’affievolimento dell’interesse nazionale e di ciò che aveva determinato il successo popolare e elettorale.

Come avrebbero dovuto pesare a favore del prestigio della premier, gli ottimi rapporti fra lei e le donne del potere europeo e la presunta stima esternata persino da Monti e da Draghi.

Giovava al credito internazionale essere in grembo a Biden, ben vista dalla fondazioni e dal partito repubblicano negli USA, fare parte dell’Aspen Institute e essere presidente dei conservatori europei.

Convinta di aver raggiunto il sudato accredito, il premier tratta alla pari con Francia e Germania.

Senonchè, questa volta sí ‘col favore delle tenebre’, con la complicità della Spagna, presidente di turno e teoricamente ‘neutrale’, presente ma nascosta dentro l’armadio, avviene un vero misfatto, un ‘ aggressione inaspettata.

Francia e Germania giocano una carta inqualificabile: chiudono le trattative e il Patto di Stabilità, soddisfacendo tutti i rispettivi interessi nazionali e lasciando l’Italia, col culo fuori di finestra e un palmo di naso dentro casa.

La mattina seguente la premier è informata che l’accordo è concluso e se vuol passare per la firma. . . .

Cosí l’Italia si è ritrovata come sempre sotto il calzare dolorifico di Francia e Germania. Questa volta con l’aggiunta del terzo attore, la Spagna.

Peggio della sorte toccata a Silvio Berlusconi sottoposto alla gogna delle risatine di Angela Merkel e Josè Aznar.

Il risveglio è brusco, lo schiaffo inaspettato e violentissimo.

L’Italia non conta, non conterà, qualunque cosa accada.

La filosofia che informa le politiche U. E. e dei paesi leader sono opposte, divergenti dagli interessi italiani.

I pregiudizi sull’Italia ossidati e non rimuovibili.

Poi se si tratta di intrattenere buoni rapporti personali. . . . la premier almeno parla le lingue.

Delusione cocente anche da oltreoceano.

Biden, gli USA, la finanza non muovono un dito.

La premier avrebbe dovuto ricordarsi dei ‘ ragazzi di Budapest’abbandonati, anzichè intonare inni.

Si è sperimentata la concezione dell’amicizia statunitense.

Chi la conosce non farà fatica a immaginare la sua personale reazione a questo colpo basso, al fallimento della politica di allineamento, di bon ton istituzionale.

Prende corpo la necessità di tener fede al no al MES.

La valutazione provoca un’ondata di richiami al ‘ritorno del populismo’, media in testa e Giorgetti di conserva.

È chiaro lo schieramento: tutti da una parte, pronti a stoppare ogni mossa extra ordinem.

Ritorniamo al parallelo con Gaza.

Pensano che il no al Mes sia una scelta sbagliata, ma una comprensibile rappresaglia, un segnale ritorsivo. Poi tutto tornerà come prima : Italia regina ancillarum.

Se invece come sulla Striscia il segnale fosse stato tanto bruciante e significativo che il no al Mes non fosse azione di rappresaglia, ma l’inizio di una partita di confronto totale per sfuggire al destino che altri hanno previsto per il paese, varrebbe un altro proverbio : ‘si chiude una porta si apre un portone’

È un’ennesima occasione, perchè la nostra storia non sia per forza un unhappy ending tale (un racconto a fine infausta).