Sebbene dei potenziali fondi Ue non si conosca né il se, né il quando, né il quantum, si è avviato un dibattito sulle modalità di spesa. Si evoca Keynes e la redistribuzione statale. Le soluzioni paiono essere animate più che da analisi obbiettive, da convinzioni ideologiche e dal desiderio di compiacere l’establishment. I dibattiti sulle ipotesi future lasciano intonsi i problemi del presente. Il paragone dell’orchestra che suona e dei passeggeri che danzano mentre il Titanic affonda pare riduttivo. Attaglia di più la storiella di quello che, precipitato dal 50o piano, a chi gli chi gridava da una finestra del 20o come andasse, rispose serafico “per ora bene”. Mentre ancora ‘va bene’, si è spiegato (cfr. Là vocina 18/6/2020 “l’Italia è solida ma…) come e dove si dovrebbero ricercare le risorse. Si disse che quando c’è necessità di fondi per le spese comuni della famiglia è meglio attingere ai risparmi dei singoli membri con equo compenso e vantaggi per tutti, piuttosto che ricorrere a strozzini, vicini di casa, banche rapaci. Lo stesso buon senso dovrebbe guidare il metodo d’impiego delle risorse. La prima domanda è se si possa aver fiducia in chi vorrebbe spendere per noi. Se la risposta dovesse essere positiva ben potrebbe lo Stato gestire in proprio la partita con la sicurezza del conseguimento del bene collettivo. In caso diverso meglio altre soluzioni. Poiché’ la certezza c’è, ma inversa all’auspicio, non sarebbe ragionevole lasciare campo libero alla spesa pubblica. L’esperienza racconta di vicende reiterate poco commendevoli. Si è sicuri con un minimo di riserva statistica che la storia finirebbe molto peggio di come è cominciata. Il modo per impiegare utilmente il pubblico denaro nell’interesse dei cittadini e della ripresa economica è trattenerlo in conto senza farlo transitare per i meandri della PA. La soppressione delle imposte dirette per un anno garantirebbe agli italiani risorse   incentiverebbero i consumi, si appianerebbe la tensione sociale che sta montando, si rimetterebbero in moto produzione e scambi di beni e servizi con incremento occupazionale, senza intermediazioni e snodi opachi. L’osservazione che così facendo lo stato sarebbe privato di risorse, si infrange sulla considerazione che il debito pubblico interno emesso sarebbe assunto per intero dalla PA a copertura del minor introito tributario. La sterilizzazione dell’IRPEF per tutti per un anno e la sostituzione nei ricavi dello Stato con il debito pubblico assunto è una soluzione semplice, senza spese aggiuntive, efficace, pari ad un sussidio diretto ad ogni famiglia, senza intermediazioni, clientele, favoritismi. L’altra osservazione che i privati potrebbero non spendere ma risparmiare il reddito disponibile aggiuntivo richiede due puntualizzazioni. La prima è che si tratta di una possibilità’, mentre le inefficienze della mano pubblica sono una certezza. La seconda è che il risparmio non è uno spreco. Servirà per l’accesso al credito per le imprese o per la sottoscrizione del debito pubblico interno. Chi ne uscirebbe un po’ malconcio sarebbero politica affaristica e clientelare, burocrazia dispensatrice di incarichi, appalti, benefici e sussidi.