La corsa al Quirinale è partita da tempo, perché gli aspiranti alla poltrona presidenziale contano sull’indisponibilità di Mattarella a un secondo mini-mandato – sulle orme di Napolitano – che lo farebbe restare in carica il tempo necessario a eleggere le nuove Camere, evitando così che il prossimo Settennato nasca per volontà di grandi elettori delegittimati dalla riforma che ha ridotto il numero dei parlamentari. Le grandi manovre sono in pieno svolgimento, e non può sorprendere il riposizionamento di autorevoli esponenti del Pd che dall’ortodossia europeista sono improvvisamente passati alle posizioni più rivoluzionarie. Come Sassoli, presidente del Parlamento europeo, che ha proposto di cancellare il surplus di debito provocato dal Covid, eventualità che cozza irrimediabilmente con i trattati comunitari; oppure all’ex presidente del consiglio Enrico Letta che suona la campana a morto per Mes, consigliando di trasferirlo dagli Stati alla Commissione europea. Poco importa che la cancellazione del debito, quando comparve nel contratto del governo gialloverde, fosse definita inquietante dal Pd, e che resti uno dei cavalli di battaglia dei settori più antieuropeisti della Lega: l’obiettivo è ingraziarsi il Movimento Cinque Stelle, feroce nemico del Mes, i cui voti sono considerati determinanti per decidere il nuovo inquilino del Colle. Questa gara a eliminazione, a cui si è iscritto per primo Franceschini, è piena di incognite, visto che il grillismo in scomposizione è ormai talmente liquido da non poter garantire nulla.
E poi, gli ultimi presidenti della Repubblica – da Scalfaro in poi sono sempre stati o conniventi o direttamente espressione della sinistra. Il Pd, inoltre, senza mai aver vinto le elezioni, è quasi ininterrottamente al potere da dieci anni e ora pretende, col 20 per cento, di mettere di nuovo a segno l’accoppiata governo-Quirinale. Per cui sembra difficile credere che Berlusconi possa concorrere a far salire al Colle un altro esponente di area Pd. Se davvero Zingaretti e Franceschini confidano che con i voti di Forza Italia sia più facile che il successore di Mattarella sia scelto tra personalità democratiche in nome dell’europeismo, probabilmente stanno facendo un calcolo sbagliato.
Il patto del Nazareno naufragò proprio sul nome di Mattarella, e questo precedente dovrebbe rendere impraticabile la strada di un Nazareno bis. Berlusconi si gode la centralità politica riconquistata, ma non cadrà nella trappola. Anche perché i numeri di questo Parlamento porterebbero a tutt’altri scenari. Con le regole attuali, il presidente della Repubblica viene eletto da 1009 grandi elettori: 630 deputati, 315 senatori e 59 delegati regionali, e dalla quarta votazione in poi è sufficiente la maggioranza semplice, ossia a quota 505 voti. Il centrodestra può contare – tra Lega, Forza Italia e Fdi – su 255 deputati e 140 senatori, ai quali vanno aggiunti gli undici totiani di “Cambiamo” e la stragrande maggioranza dei delegati regionali. In totale, il centrodestra controlla il 46 per cento dei grandi elettori, e la sessantina di voti mancanti potrebbe arrivare proprio dalla diaspora grillina nel segreto dell’urna, con la variabile Renzi che nelle grandi occasioni è sempre una mina vagante. Il centrodestra avrebbe almeno il dovere di provarci, anche se da qui al voto per il Quirinale può succedere di tutto.