Abbiamo deciso di ospitare uno scritto di Luigi Einaudi, presidente della repubblica dal 1948 al 1955, economista e politico di prestigio indiscusso. Fu pubblicato nel luglio 1944, quando l’autore era esule e già disegnava l’Italia postfascista. Lo scritto è una pietra miliare, dimenticata dai più scarsamente letta dagli altri, anche perché’ forse, non in linea con l’essenzialità contemporanea. Ci siamo accollati la responsabilità di farne una sintesi e riportare d’attualità sua lucidità preveggente e le indicazioni dei passaggi per costruire un paese libero e democratico :1) eliminazione dei prefetti 2) valorizzazione delle autonomie, 3) sterilizzazione del potere delle burocrazie 4) formazione mediante il cursus honorum di una classe politica appropriata.

Oggi, terza repubblica ,2020: siamo sempre ai blocchi di partenza. Ma La Vocina, fautrice di questi fondamentali senza tempo di scadenza e che non hanno colore partitico, non demorde.

La redazione

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Via il prefetto!

di luigi Einaudi, luglio 1944 (sintesi)

Proporre, in Italia > di abolire il «prefetto» sembra stravaganza. > Istituzione veneranda > il prefetto è quasi sinonimo di governo >

In verità, il prefetto è una lue che fu inoculata nel corpo politico ida Napoleone<Nella furia di strappare i privilegi, la rivoluzione francese distrusse > le libertà locali e Napoleone, <perfezionò l’opera. I governi restaurati > conservarono il prefetto napoleonico. L’Italia nuova, preoccupata di rinsaldare > [gli]ex-stati in un corpo unico, > estese il sistema prefettizio >

Democrazia e prefetto ripugnano profondamente l’una all’altro. > Nei paesi dove la democrazia non è una vana parola, la gente sbriga da sé le proprie faccende locali senza attendere il la ‘od il permesso dal governo centrale. Così si forma una classe politica numerosa, scelta per via di vagli ripetuti.  > Prima di arrivare ad essere consigliere federale o nazionale in Svizzera, o di essere senatore o rappresentante nel congresso nord americano, bisogna essersi fatto conoscere per cariche coperte nei cantoni o negli stati; ed essersi guadagnato una qualche fama di esperto ed onesto amministratore. La classe politica non si forma da sé né è creata dal fiat di una elezione generale. Ma si costituisce lentamente dal basso > La classe politica non si forma tuttavia se l’eletto > non è responsabile per l’opera propria. Se qualcuno ha il potere di dare a lui ordini o di annullare il suo operato, l’eletto non è responsabile e non impara ad amministrare. Impara ad ubbidire, intrigare, a raccomandare, a cercare appoggi >

Finché esisterà in Italia il prefetto, la deliberazione e l’attuazione [sarà] > sempre al governo centrale

Chi, se non un funzionario statale, può interpretare ed eseguire le leggi, i regolamenti, le circolari, i moduli >?

A nessuno viene in mente > l’idea semplice che l’eletto ha il diritto e il dovere di interpretare lui la legge, salvo a rispondere dinnanzi agli elettori della interpretazione data? Che cosa [è] l’eletto in uno stato burocratico accentrato? Non un legislatore, non un amministratore; ma un tale, il cui ufficio principale è essere bene introdotto presso prefetti, consiglieri e segretari di prefettura > ed a Roma, presso i ministri, sotto-segretari, meglio e più, perché di fatto più potenti, presso direttori generali, capidivisione, segretari, vice-segretari ed uscieri dei ministeri.

Il malvezzo di non muovere la «pratica» senza una spinta, una raccomandazione non è recente né ha origine dal fascismo. È antico ed è proprio del sistema.

 > Un deputato diventa un galoppino, il cui tempo più che dai lavori parlamentari è assorbito dalle corse per i ministeri e dallo scrivere lettere di raccomandazione per il sollecito disbrigo delle pratiche dei suoi elettori.

Perciò >: Via il prefetto!  > Nulla deve più essere lasciato in piedi > nemmeno lo stambugio del portiere. Se lasciamo sopravvivere il portiere, presto accanto a lui sorgerà una fungaia di baracche e di capanne che si trasformeranno nel vecchio aduggiante palazzo del governo. > L’unità del paese non è data dai prefetti > L’unità del paese è fatta dagli italiani i quali imparino > a governarsi da sé. La vera costituente non si fa in una elezione plebiscitaria > Così > si ricostituiscono le tirannie, siano esse di dittatori o di comitati di partiti. Chi vuole affidare il paese a qualche altro saltimbanco, lasci sopravvivere la macchina accentrata > Chi vuole che gli italiani governino sé stessi, > dia agli eletti il potere di amministrare liberamente; di far bene e farsi rinnovare il mandato, di far male e farsi lapidare. > La classe politica si forma così. > [Esiste]una burocrazia pronta ad ubbidire ad ogni padrone, non radicata nel luogo, indifferente alle sorti degli amministrati; un ceto politico oggetto di dispregio, abbassato a cursore di anticamere prefettizie e ministeriali, prono a votare in favore di qualunque governo. > Nessuna unità è salda, se prima gli uomini > non hanno costituito il comune; e di qui, risalendo di grado in grado, sino allo stato. [Abolire i prefetti e] ricostruire lo stato partendo dalle unità che tutti conosciamo ed amiamo: la famiglia, il comune, la vicinanza e la regione. Così possederemo finalmente uno stato vero e vivente.

(«L’Italia e il secondo risorgimento», 17 luglio 1944,)

*il simbolo  >  indica elisioni di testo