L’ideona lettiana di garantire una dote ai diciottenni attraverso un prelievo sulla tassa di successione è stata archiviata in tempo reale: considerare patrimoni da un milione di euro come ricchezze da espropriare riflette una concezione punitiva della proprietà privata che vorrebbe colpire risparmi di una vita lasciati ai figli, ed è una proposta irricevibile nel momento in cui lo Stato deve immettere risorse e non drenarle. Ora gli elettori hanno la percezione esatta di cosa sarebbe accaduto se fosse andata in porto la manovra parlamentare per il varo del Conte due bis e sanno anche in anticipo a cosa porterebbe una vittoria delle sinistre alle prossime politiche, visto che il segretario del Pd ha già annunciato di voler riproporre quella “dote” nella prossima legislatura.
Intendiamoci: non c’è nulla di sorprendente, perché “le tasse sono belle” è sempre stato un cardine della politica economica del Pd, che – mutuando la peggiore tradizione della sinistra tassa e spendi – si è eretto a tutore dell’ordine fiscale, mai tagliando la spesa pubblica, ma puntando sempre sull’aumento delle entrate. Un’ossessione, quella delle tasse, cresciuta in modo esponenziale quando – col governo rossogiallo – le sinistre al potere erano addirittura quattro, e alla compagnia dei fustigatori si è aggiunto il massimalismo grillino. In quella breve e sciagurata stagione si è giunti ad ipotizzare la tassa sul trasporto aereo – come se i viaggi aerei fossero un privilegio per ricchi -, la plastic tax e perfino quella sulle bevande gassate e sulle merendine dei bambini allo scopo di reperire fondi per la lotta ai cambiamenti climatici. E per combattere l’evasione fiscale è arrivata come ciliegina sulla torta anche la tassa per chi usa poche centinaia di euro di contanti, l’ultima frontiera prima di arrivare a uno Stato di polizia fiscale.

Insomma: cambiano i segretari, ma il Pd non cambia mai: non riuscendo a offrire soluzioni strutturali ai problemi del Paese, resta ancorato al vecchio cavallo di battaglia ideologico del contributo di solidarietà, alias patrimoniale, che oggi significherebbe colpire ancora una volta il ceto medio già impoverito da un decennio di congiuntura negativa e ora messo in ginocchio dagli effetti devastanti della crisi sanitaria. Eppure l’esperienza insegna che, ovunque applicata, la patrimoniale non ha mai funzionato, perché punisce indiscriminatamente proprio i ceti medi che sono sempre, storicamente, i diretti intestatari dei beni posseduti, siano essi immobili o risparmi, mentre risparmia i grandi possessori di ricchezze, i cui patrimoni sono spesso nascosti dietro complesse e inarrivabili scatole cinesi. L’ultima uscita demagogica di Letta non va presa dunque come un ballon d’essai: ha solo ricordato agli italiani che i vecchi vizi della sinistra sono duri a morire, e che nel suo mirino ci sono sempre i soliti noti che pagano le tasse, quei milioni di italiani su cui lo Stato dovrebbe invece puntare per far ripartire il Paese. Il partito della patrimoniale in nome della solidarietà sociale – che varia tra chi sussurra che “chiedere a chi ha di più non è sbagliato” e chi sostiene in modo molto più tranchant che “va punito chi accumula” – resta vivo senza soluzione di continuità, e Letta ci ha tenuto a far sapere, con una sortita fuori tempo e fuori luogo, di essere il perfetto erede politico di Zingaretti e di Bersani.