Leggo meravigliato che Enrico Letta, segretario Pd e membro della Trilateral Commission, auspica una ‘Confederazione di stati europei’.

Lo stupore nasce dal fatto che costui è un campione del finanziarismo postdemocratico.

La filosofia di quel tipo di classe dirigente non prevede per l’Europa, un’unione politica significativa, nè la valorizzazione delle comunità nazionali all’interno di un patto confederale  che, per definizione, ne preserva le sovranità.

Poi leggo meglio e capisco.

La postdemocrazia finanziaria prevede alcuni must concettuali e di metodo.

Parliamo del metodo. Come insegnano i suoi apostoli essa si muove per ‘ crisi successive’.

Ove non vi siano le si provocano.

Ove vi siano si aggravano.

C’è stata l’epidemia, utilizzata per il rodaggio della limitazione delle libertà e dei diritti, del ritorno all’imperio centralista, alla drammatizzazione di paure e suggestioni.

Poi è sopravvenuta la guerra.

Non vale indagare quanto essa sia stata crisi sopravvenuta, voluta o provocata, anche se solo in parte.

Fatto è che incentiva una serie di fenomeni, non sgraditi al finanziarismo postdemocratico. Il riassetto dei valori sui titoli energetici, l’impulso dell’industria bellica, il rafforzamento del legame con la finanza  statunitense e la riduzione degli spazi per il restante mondo occidentale, un impoverimento delle economie fondate su medie e piccole entità, il rafforzamento della dipendenza energetica dagli Usa, l’allargamento a est e nuovo vigore per la Nato, la ‘cacciata dall’Europa’della Russia, cosí come auspicava Brzezinski, mentore di quelle dottrine e altro ancora.

Nel merito. La postdemocrazia finanziarista  lavora per l’indebolimento dell’autorità politica delle nazioni e per il gregariato europeo alle politiche nordatlantiste.

Fa parte del progetto la valorizzazione del peso e del ruolo dell’Unione Europea e il depotenziamento degli stati membri e della loro sovranità nazionale.

L’UE appare bisognosa in questo frangente di un rafforzamento, di un’iniezione di credibilità per varie cause fra le quali non ultima la sostituzione a capo dello stato egemone nell’UE della Merkel con un socialdemocratico poco incline all’atlantismo.

Da qui la sovraesposizione filo Ucraina delle istituzioni unioniste, le visite, gli auspici pubblici di vittoria.

Da qui la prudenza germanica più attenta ai suoi interessi nazionali, ai suoi rapporti internazionali, a conservare la propria sfera d’influenza.

Con questi presupposti diventa chiara l’iniziativa di Enrico Letta.

Per lui, l’Unione Europea, i suoi scopi di braccio della postdemocrazia finanziaria riduttrice di sovranità nazionali e di peso della politica, sono prioritari su tutto.

Secondo il suo ragionamento non vanno disperse le volontà filounioniste di nazioni europee che anelano l’ingresso nell’Unione ( vedi Ucraina).

Da qui l’idea di creare una ‘confederazione politica’composta da chi già fa parte dell’UE e da chi vorrebbe entrarci e per così dire ‘sta svolgendo le pratiche’.

Una ‘confederazione politica’sottoposta all’Unione europea ( economica) dedicata al parcheggio di chi ha fatto domanda e di chi ha già il pacco a domicilio.

Letta, in pratica, declassa l’idea di Europa confederale, prima opzione di tanta parte di europeisti di diversi orientamenti, riducendola a una sorta di Europa B, a sala d’aspetto, preparatoria all’iniziazione nell’Unione.

Gli obbiettivi sono chiari :affermare il primato dell’UE e i suoi fini, contrari alla costituzione di una vera confederazione di stati sovrani, intesa come blocco titolare di politiche autonome.

Rende infine vangelo il principio postdemocratico finanziarista, caro a certa America, da David Rockfeller, a Goldman Sachs a Biden, splendidamente sintetizzato da Giulio Tremonti ‘Mercati sopra Stati sotto. ‘