Pur non avendo la benchè minima stima del governo giallorosso ho cercato sempre di interpretare e capire il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Forse per quella solidarietà di funzione che da rappresentante delle istituzioni mi fa sopportare, nel mio piccolo, il carico di responsabilità e incertezza che regna sovrano in questo periodo particolarmente buio. Pur d’accordo con chi lo definiva una pedina che governava “col favore delle tenebre”, situato nel ganglo vitale dello Stato per soddisfare gli appetiti dei governi stranieri, ho sempre cercato di difenderlo, forse autoconvincendomi di una buona fede che in realtà si è dimostrata non esserci. Come spesso accade in politica l’antitesi non ha retto alla logica stringente della tesi e nell’arte più antica del mondo, come in amore e nella tosse, gli effetti non si possono nascondere, almeno non a lungo. Ho capito che il governo non aveva la benchè minima contezza di quello che stesse facendo e dove volesse andare quando, con un decreto ferragostano, interrompeva, ormai a danni fatti, l’attività di discoteche e aperitivi sulla spiaggia vista l’ondata di contagi. Non importava essere virologi di fama mondiale ma semplici persone di buon senso per capire che se si mandano orde di ragazzini a spasso di notte ad affollare i locali, il risultato è pressocchè scontato. La raccomandazione poi di andare a ballare mantenendo le distanze o indossando la mascherina fece subito morire dal ridere se non ci fosse stato da piangere circa la totale mancanza di contatto con la realtà che ormai affliggeva (e affligge) i nostri governanti. Ed ecco che si è continuato a navigare a vista: aprire per salvare l’estate, chiudere per salvare il Natale e forse a Capodanno richiudere per salvare la Pasqua. Peccato che in questo turbillon di leggi, decreti e circolari oscure e caotiche anche per gli addetti ai lavori mezza Italia stia andando sul lastrico. Ma del resto il modo di legiferare è la cartina di tornasole di una classe dirigente. Lo sapeva bene Tacito, che negli Annali scriveva: “corruptissima re publica plurimae leges”. Siamo ai titoli di coda e il volto cereo e la voce insolitamente traballante di Conte, domenica scorsa, dimostrano come, forse, nemmeno lui creda fino in fondo a quel che si sforza di dire. Il maldestro tentativo di rassicurare sul ristoro dei danni è la ciliegina su una torta sempre più indigesta: i fondi UE sono ormai come l’Araba fenice. Nel frattempo i ciuchi alla mola cercano di tirare avanti la baracca e pagare le tasse con quel che avanza in fondo al barile. Qualcuno si ribella e i fatti di Napoli credo saranno la manifestazione sempre più frequente di un popolo stanco, affamato e preso in giro in una Italia dove dopo sei mesi siamo ancora al punto di partenza in termini di posti letto negli ospedali, rianimazioni e trasporto pubblico.
Conte dice che “lo Stato c’è!”. Nel dubbio facciamo i debiti scongiuri.