Nel mare delle autonomie locali, il ruolo principale è quello del Sindaco. Figura centrale a capo di una istituzione altrettanto centrale nella tradizione nazionale. Per Prezzolini il Comune medievale è l’unica espressione politica significativa nella storia d’Italia. La sola riforma che ha lasciato il segno nel passaggio dalla prima alla seconda repubblica è l’elezione diretta dei sindaci. La figura del sindaco apparve così popolare che si parlò del presidente del Consiglio come sindaco d’Italia. In un unanimismo insolito, ai sindaci fu data la possibilità di vivere di risorse proprie fino al 90% circa del bilancio dell’ente. Per ragioni da esplorare vi fu una marcia indietro e con norme susseguitesi nel tempo il sindaco è diventato un re sempre più nudo, incapace di incidere significativamente sull’attività dell’ente. È ritenuto il titolare di ogni potere, ma si trova ad avere le mani legate. Il sindaco dei cittadini avrebbe dovuto stare al riparo dal “partito degli assessori” con la possibilità di revoca e da quello “dei consiglieri”, col principio ‘a casa il sindaco, a casa tutti’. Nella conduzione dell’ente avrebbe dovuto agire non più imbrigliato nelle panie del partito più influente, quello della burocrazia comunale. Le normative approvate rilanciavano il principio della c.d. sussidiarietà verticale o istituzionale (gli enti superiori fanno quello che non possono fare quelli inferiori). In pratica le decisioni avrebbero dovute essere prese principalmente dall’ente più vicino ai cittadini, con un potenziamento esponenziale del potere dei Comuni. Si poneva in rilievo la volontà di semplificare, ridisegnando l’organizzazione e il funzionamento dell’amministrazione pubblica locale. Un principio su tutti, il passaggio della responsabilità amministrativa dall’apparato politico a quello burocratico. Le cose sono andate diversamente, poiché agli intenti non son seguiti i denari. Anzi son stati sottratti con la centralizzazione della tesoreria e la redistribuzione in mano alla burocrazia statale. È successo l’inevitabile. I partiti in veste locale e nazionale esercitano un controllo sulle maggioranze consiliari, gli assessori espressione anche di gruppi di pressione risultano fiduciari di tutti meno che del sindaco. In questo scenario la casta dei mandarini della burocrazia, una volta investiti della responsabilità della firma degli atti, si sono ritirati a riccio a difesa del proprio potere acquisito per legge tenendo in ostaggio i sindaci, l’attività politica, i progetti .Salvo le eccezioni questa è la diagnosi .Un osservatore, seppur novizio, ricolmo di sapido buon senso, non può accontentarsi di questa descrizione se non si intravede la prospettiva di un cambio, se la gran maggioranza dei Comuni riescono a malapena a garantire il servizio di anagrafe. Tornare indietro è difficile ma si impone. Forse riscoprire il principio della responsabilità in capo al politico, rivedere in senso fortemente autonomista i rapporti tra Stato ed enti locali e rendere il Comune, ombelico dell’agire amministrativo e della riscossione e distribuzione dei tributi, financo prevedere l’abolizione delle Regioni a tutto vantaggio di Comuni e Province, disegnate secondo criteri di omogeneità funzionale, potrebbe essere lo strumento per rendere il Sindaco non un Giano Bifronte, ma un istituzione perno della vita delle comunità e non solo colui che taglia i nastri alle inaugurazioni e poco più.