di  Dino GEPPETTI

La prima alla Scala con l’immagine pluridiffusa del palco reale ha evidenziato più di ogni ragionamento lo stato dell’arte.Tutti insieme appassionatamente si potrebbe dire. L’integrazione tra il vecchio e il nuovo corso è stata fulminea. Per la  novella governance è bastato allinearsi di buon grado e proporsi non come ‘scassaminchia’ ma come esecutore dell’agenda Draghi. È bastato proporsi come pacifica espressione di positiva sudditanza al dirigismo elitario nazionale, all’Ue europicida di Bruxelles, all’egemonia prepotente e alla condivisione del global-finanziarismo speculativo, per divenire affidabili funzionali a quel Mondo di sopra,una volta bersaglio di quella che avrebbe dovuto essere un’opposizione alla riscossa.

L’evento della Scala ha segnato una sorta di resa, di cessione del credito di una nuova primavera, la fine dei buoni propositi e dei sogni svaniti nella consapevolezza della condanna a sprofondare tutti insieme nelle sabbie mobili del fallimento e delle discrasie di cui l’Italia è malata terminale. Così in un contesto surreale da tragedia del Titanic, la pletora dei cortigiani con l’apice dell’applausometro per il presidente ,massimo rappresentante della postdemocrazia continentale, hanno fatto della Scala ( escludendo la componente artistica) il simbolo della raggiunta normalizzazione ,debitamente  amplificato in  una società smarrita e perdente in cui oggi sembrano tutti allineati, anche coloro che agitavano il vessillo del cambiamento, per poi in un istante omologarsi al peggio e magari battere le mani più forte degli altri.