di Alessandro Artini

Mi capita di parlare con degli amici, gente perbene e intelligente, che è contraria agli invii di armi per l’Ucraina. Uno di loro mi ha detto: “Detesto Putin, ma non provo alcuna simpatia né per Zelenski né per gli americani che lo manovrano”. Una frase che, al contempo, racchiude un duplice pregiudizio che si indirizza contemporaneamente verso il presidente ucraino e verso il governo americano. Credo che questa sia una posizione sbagliata e cercherò di spiegare perché, avvalendomi del libro di un sociologo, Vittorio Emanuele Parsi, dal titolo “Il posto della guerra e il costo della libertà”.

Parsi sviluppa un ragionamento pacato, che non esita a tener conto delle obiezioni e per questo acquisisce via via, nel suo sviluppo, una maggiore autorevolezza. Per seguire quel ragionamento, tuttavia, ho necessità di porre una premessa che riguarda la filosofia della storia. Preciso che, mentre la storia della filosofia è la disciplina che si studia nel triennio dei licei e all’università e racconta il pensiero dei filosofi nel suo scorrere storico, la filosofia della storia tratta del significato della storia stessa, cioè, ad esempio, se essa si evolva progressivamente secondo ragione (Hegel) oppure se non sia altro che un “eterno ritorno”, ovvero un ciclo di costante reiterazione dell’identico, cioè degli stessi avvenimenti (Nietzsche). Non sono in grado di sciogliere questo nodo, ma posso dire che la storia, come tutti gli avvenimenti della vita, possiede una sua “punteggiatura”. Intendo dire che quelle che alcuni storici definiscono come le tendenze di un’epoca o, se vogliamo, i trend, hanno una nascita, uno sviluppo e una fine, talvolta addirittura in archi temporali plurisecolari (secondo quanto suggeriscono gli studiosi francesi delle Annales). Quei trend, dunque, hanno una loro punteggiatura e chi li studia deve saper “mettere il punto”, quando quella tendenza finisce, esattamente come in una frase.

Secondo Parsi (e io condivido) con la conclusione della seconda guerra mondiale dovremmo andare “punto e accapo”, constatando la fine di una vicenda che aveva prodotto milioni di vittime e sconvolto il pianeta intero. Da allora l’Europa, fautrice e responsabile primaria della guerra stessa, ha cambiato rotta. Grazie ad alcune istituzioni sovranazionali (in primis quelle dell’Unione Europea) si sono avuti quasi ottant’anni di pace. L’idea di fondo è stata “quella di impiegare il mercato per controllare gli eccessi della sovranità e la sovranità, nella sua declinazione democratica, per contenere gli eccessi del mercato”. Molti non si rendono conto dell’importanza della pace, considerandola una sorta di situazione naturale e la carenza di studio, a scuola, circa le vicende contemporanee fa sì che molti giovani non riescano ad apprezzarla. Non solo stanno scomparendo, per questioni di età, coloro che hanno vissuto la cosiddetta shoah (ce ne rendiamo conto ogni volta che celebriamo il Giorno della memoria), ma scompaiono anche i nostri padri, i nonni dei nostri figli, ovvero quei vecchi (“anziani” è un termine edulcorato) che hanno vissuto la guerra, con la tregenda di lutti e sofferenze che ha comportato. Non solo, dunque, si è allentata la memoria dell’Olocausto (termine improprio, perché ha una connotazione sacrale…), ma in generale quella della guerra. Sempre più difficilmente coloro che come me sono nati intorno alla metà del secolo scorso riescono a trasmettere ai giovani quei ricordi che avevano ricevuto, soprattutto con i racconti orali, dalle generazioni che la guerra l’hanno vissuta.

Ebbene cosa ha fatto Putin? Egli, con il suo codazzo di ridicoli e menzogneri cortigiani, ha interrotto quel trend storico di pace di cui abbiamo fruito fino all’occupazione dell’Ucraina da parte del suo esercito, il 24 febbraio dell’anno scorso. Si tratta di un evento gravissimo, che pone in discussione quel paradigma di civile convivenza, che ha connotato la vita di questi ultimi decenni nell’Europa occidentale. Si obietterà che, nel mondo, questo periodo non è stato sempre di pace. Ci sono state delle guerre cruente, in vari “teatri” locali. Parsi non sfugge a questa obiezione e ai quesiti che essa pone. Certamente la guerra mossa dagli americani e dagli inglesi contro l’Iraq di Saddam Hussein, motivata dalla menzogna delle “armi di distruzione di massa”, non ha procurato miglioramenti nella politica medio-orientale, anzi… Inoltre, ha nuociuto alla reputazione dei paesi aggressori, considerati alla stregua di potenze imperialiste e neocolonialiste. Diversa è stata la guerra in Kosovo, dove gli episodi di “macelleria”, cioè di “pulizia etnica”, ai danni dei kosovari albanesi, perpetrati dalle truppe serbe, erano noti e documentati. Essa, inoltre, non ha dato luogo ad alcuna annessione territoriale (come invece quella recente della Russia).

Certamente la politica aggressiva d’Israele non trova giustificazione alcuna presso l’opinione pubblica mondiale, seppur in molti paesi non si dimentichino né si rimuovano le vicende tragiche del popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale. In sostanza, le recenti guerre che hanno insanguinato alcune parti del pianeta, che sono ingiustificabili per la bassezza delle motivazioni, non possono attenuare in alcun modo ciò che ha fatto Putin. L’argomento, infine, che la Nato si è messa ad “abbaiare” a Putin dai paesi confinanti è del tutto infondato. In realtà, il processo di “decomposizione” dell’Unione sovietica, è stato accelerato da Eltsin, dopo che alcune forze interne, guidate dal KGB, miranti a ripristinare il precedente equilibrio con un tentativo di golpe, erano state sconfitte nel 1991. Quelle che una volta erano le repubbliche sovietiche e i paesi d’Oltrecortina, temono l’espansionismo colonialista russo e oggi sono ben contente di potersi rifugiare sotto l’“ombrello” della Nato, come la Polonia. Nessun paese, oggi libero, si sottometterebbe volontariamente all’autocrazia russa e quelli che non lo sono rivolgono lo sguardo a Occidente. Questo è quanto teme Putin il quale, combattendo gli ucraini, porta l’attacco “ai valori, alle norme e alle istituzioni che hanno permesso la nascita dell’Occidente contemporaneo”. Conclude Parsi: “Per proteggere l’area di pace, non rimane alternativa che essere in grado di dissuadere anche militarmente chi quella pace vuole violare e chi vuole riportarci indietro di quasi un secolo”.

Per questo io, che generalmente non ascolto le canzonette, quest’anno guarderò il festival di Sanremo e ascolterò attentamente l’intervento di Zelensky.