Molti anni fa lessi una frase di un noto giornalista che, a commento di un comizio dell’allora leader di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini chiosò: “non ha detto nulla, ma l’ha detto benissimo!”. Cambiando gli interpreti la frase di cui sopra credo possa essere compatibile con tutti i protagonisti della scena politca italiana, almeno degli ultimi trent’anni; vieppiù degli ultimi dieci. La rarefazione dei contenuti, lo scadimento del linguaggio, l’imbarbarimento dei toni sono la nota caratteristica di una classe dirigente fatta, perlopiù, di scappati di casa che si reggono al seggio, ricevuto per grazia divina, come i naufraghi sulla zattera della Medusa. E se lo scranno che fu del Marchese di San Giuliano ora appartiene a Luigi Di Maio e l’epica scrivania lignea di Quintino Sella è occupata dal ministro Gualtieri (laurea in lettere) un motivo ci deve pur essere. Ma il clichè non è nuovo. Anche un lettore novizio, ma ricolmo di sapido buonsenso e acuta osservazione critica, noterà come siano, senza andare troppo indietro, mutatis mutandis, le grandi dittature novecentesche a fornire la cartina di tornasole di certi atteggiamenti improvvidi. La mimica facciale di Mussolini, la veemenza dei discorsi di Hitler, nelle atmosfere cupe delle notti di Norimberga, le parate militari nel moloch dell’Unione Sovietica fungevano da anestetizzante per un popolo inebriato e incosciente di quanto i contenuti veicolati fossero in realtà, nella loro sostanza, inconsistenti e privi di qualsivoglia logica argomentativa. Con ciò non voglio dire, sia ben chiaro, che gli attori della scena politica italiana siano dei dittatori criminali ma soltanto indicare come “il non dire nulla, ma saperlo dire bene” è un’arte vecchia quanto il mondo, da Carneade in giù e come l’attuale classe dirigente italiana ne sia la massima (peggiore) espressione. In tutto ciò hanno un peso rilevante e determinante i social network. Sapersi vendere e saper vendere un prodotto, anche se scadente, è la chiave del successo di un politico piuttosto che un altro. Spot, slogan, frasi prefabbricate e stantìe si rincorrono nel maremagnum della vita pubblica italiana senza che un argomento tetragono e culturalmente ben supportato faccia prendere fiato a chi vorrebbe qualcosa in più di una vignetta su instagram. Non occorre pretendere la concretizzazione della Repubblica platonica e il governo dei filosofi per volere un innalzamento del substrato culturale dei partiti e dei loro rappresentanti. Sperare poi che con il taglio dei parlamentari, senza un progetto serio e più ampio di riforma, si sia ottenuto questo è come sperare che togliendo un bicchiere ad un litro di vino da tavola questo diventi magicamente un Sassicaia. La morte dei partiti strutturati, la scomparsa delle scuole politiche, l’inesistenza di qualsiasi merito nella scalata del cursus honorum ha fatto, così, largo ai peggiori. Che occorrano studi consolidati, esperienza aministrativa e integrità morale per fare un buon politico è solo probabile. Ma che senza queste caratteristiche sia più facile cedere il passo a mascalzoni e arrampicatori sociali che trattano la cosa pubblica come un affare proprio, è quasi certo.