Con il cadavere ancora caldo uscito dalle urne già, nell’ombra, si delineava un unico e indiscusso vincitore: il prof. Giuseppe Conte. L’Avvocato del popolo italiano, pescato da Volturara Appula, passando per l’Università di Firenze, si destreggiava abile sugli equilibrismi dei partiti che cercavano di interpretare il responso dei seggi come i lari e gli aruspici dell’antica Roma tra le viscere degli uccelli. La vittoria del SI al referendum, la débacle del grillismo alle regionali e il sostanziale pareggio di centrodestra e centrosinistra hanno permesso al Premier di staccare, ancora una volta, la sua polizza sulla vita. Nella fase drammatica che stiamo vivendo, morsi da una crisi economica senza precedenti, con lo spettro del ritorno del virus, Conte è l’uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto. Eloquio brillante e ipnotico, tono pacato e magnetico, nodo della cravatta sempre in ordine; un signor nessuno ma disinvolto nel recitare sui palcoscenici internazionali interloquendo ora in inglese, francese e tedesco. Bello ma non troppo impossibile, bravo ma non troppo ingombrante, astuto ma affabile agli occhi del popolo. Giuseppi, insomma, piace alla gente che piace, è un po’ come il Crodino “l’analcolico biondo che fa impazzire il mondo!” per dirla con Paolo Guzzanti. Gli italiani si rispecchiano in lui e viceversa proprio per il fatto che la classe dirigente italiana per un buon 80% è, da sempre, tale e quale il popolo stesso. Lo capì Mussolini che, in una delle sue ultime interviste a chi gli chiese come mai avesse creato il fascismo, rispose: “non l’ho creato io ma è nella natura degli italiani alla quale ho aggiunto solo la coreografia. Se fossi nato in Inghilterra sarei un Primo Ministro laburista!”. Grande verità. Sì, perché gli italiani sono così, poco inclini agli orpelli e i meccanismi della democrazia, facilmente eccitabili a ogni ondata forcaiola (leggi grillina) come il fuoco con le fascine sul rogo delle streghe e, messa volentieri in naftalina la democrazia liberale, inclini a farsi guidare da un uomo solo al comando. Dalle elezioni è uscita una coalizione di governo non abbastanza forte per tornare a votare, ma nemmeno troppo debole per implodere. E sarà così, proprio giocando sulla paura della maggioranza, che ha stretto intorno al collo il nodo scorsoio della prossima legge elettorale che designerà chi deve sopravvivere e chi scomparire, che Conte governerà fino alla fine o almeno fino a scegliere un Capo dello Stato gradito all’asse franco-tedesca. In una tornata senza vincitori né vinti, con i partiti ognuno in preda ai propri psicodrammi interni, l’Uomo della Provvidenza può issarsi a prua e veleggiare sicuro, forte anche del fatto che sarà lui a scegliere dove e come spendere i 200 miliardi del Recovery fund. Con due consapevolezze: che questa due giorni elettorale era l’ultimo vero scoglio da qui alla fine della legislatura e che il Premier è più indispensabile di quanto, chi lo ha estratto a sorte dal mazzo, sperasse.