In filosofia si scontrano due visioni della temporalità: quella lineare, propria del mondo occidentale e cristiano che vede il passato collegato al futuro da una linea tutto sommato continua e lungo la quale gli eventi umani si susseguono in un’ottica di generale sviluppo e progresso; e quella circolare, propria dell’Oriente, dove i fatti sono mescolati in un continuo ripetersi e annodarsi su se stessi. Trait d’union delle due visioni è Friedrich Nietzsche che, seppur nato nel cuore della mitteleuropa, in pieno ‘800 scardinò il modo di pensare sistematico del vecchio continente con l’introduzione del concetto dirompente dell’eterno ritorno: una visione ciclica della realtà dove i fatti sono destinati a tornare e ripetersi uguali, per l’eternità. Questa sintetica notazione evidenzia come le vicende dei popoli, spesso e incredibilmente, tornino uguali a ogni piè sospinto, pur cambiando i soggetti e le stagioni. L’inizio del secolo breve fotografava una situazione, mutatis mutandis, simile a quella attuale. A Occidente gli Stati Uniti cavalcavano ruggenti l’onda dello sviluppo economico; a Oriente infuriava la rivoluzione bolscevica che di lì a poco avrebbe portato allo schianto dello zarismo e alla nascita del moloch dell’Unione Sovietica. Due blocchi che si contrapporranno per molti decenni. A questi si aggiungeva poi la rivoluzione maoista che gettava nell’agone mondiale anche il Celeste impero che con tenacia e pazienza si sarebbe accinto alla conquista del pianeta. Operazione ancora in corso d’opera. Se si eccettua il Regno Unito, che ha sempre giocato una partita su tavoli separati, in quel frangente di forti cambiamenti l’Europa giocava il ruolo della Cenerentola, lontanissima dai fasti dei grandi imperi cattolici. Infatti la Germania, che poi si consegnerà in un abbraccio mortale ad Adolf Hitler e la Francia, uscivano con le ossa rotte dalla Grande Guerra strette da una profonda crisi valoriale ed economica; la Spagna sarebe vissuta isolata fino alle porte degli anni 80 del 900. In Italia si consumava l’agonia degli ultimi governi liberali destinati di lì a poco ad essere travolti dal fascismo. Guardando la situazione attuale con le imminenti elezioni americane, che verosimilmente decideranno i destini del mondo, lo scacchiere non è poi così diverso. La partita decisiva è giocata essenzialmente tra gli Stati Uniti di Trump, primo presidente ad avere sferrato un attacco frontale alla Cina e la Russia di Putin, che vive in un enigmatico equilibrismo su tutti i fronti del blocco orientale fino alla Korea del Nord. Se la confusione sotto il cielo genera una situazione favorevole (come la massima di Mao insegna) manca di capire chi la spunterà, anche tenendo presenti i focolai incandescenti nei paesi arabi, in Palestina, Siria, Libia e con la Turchia in agguato, pronti a scompaginare le carte in tavola. Sarà di nuovo decisivo capire come si riposizionerà il vecchio continente, attualmente a trazione franco-tedesca. L’Italia può giocare un ruolo decisivo ammesso che sia supportata da una classe dirigente all’altezza che non si intravede all’orizzonte ma che, la storia ci insegna, può nascere anche dalla sera alla mattina.