La svolta a destra in Olanda era decisamente prevedibile, ed è stata determinata soprattutto dalla questione migratoria: non a caso il trionfatore delle elezioni, Geert Wilders, ha indicato come priorità del suo Partito per la libertà – e del prossimo governo – quella di introdurre “restrizioni significative all’asilo e all’immigrazione”. Un tempo sinonimo di tolleranza, l’Olanda è diventata da tempo un Paese simbolo del populismo: non a caso qui c’è stato il primo omicidio politico di un leader sovranista, Pim Fortuyn, nel 2002. La patria di tutte le libertà, il laboratorio più avanzato del multiculturalismo, ha conosciuto dall’inizio di questo secolo una profonda crisi, il cui apice fu l’assassinio del regista Theo Van Gogh ad Amsterdam per mano di un giovane immigrato, e ora lì tutti concordano che il multiculturalismo è miseramente fallito. Chi avesse dubbi sulla matrice politica della vittoria di Wilders dovrebbe rileggersi un vecchio reportage di Magdi Allam sulla situazione olandese, che registrava di fatto la fine del multiculturalismo: “L’ idea che fosse sufficiente concedere la libertà a tutte le etnie e a tutte le religioni, nel nome del relativismo culturale, affinché la libertà diventasse patrimonio comune, si è rivelata una mera chimera, l’inesorabile suicidio di una civiltà” – scrisse.
Il più terribile detonatore della fallita integrazione olandese fu l’assassinio del regista Theo Van Gogh ad opera di un estremista islamico di origine marocchina (in teoria un cittadino integrato) per la sola colpa di aver girato “Submission”, un cortometraggio sulla condizione femminile nell’Islam trasmesso dalla televisione olandese. Dieci minuti crudi e purtroppo realistici, per raccontare la storia di una donna musulmana picchiata dal marito e stuprata dallo zio. Il tema di fondo era la sottomissione delle donne nelle società islamiche, tra violenza fisica e schiavitù psicologica, un coraggioso film di denuncia che costò la vita al regista. Da allora i governi olandesi hanno cercato di correre ai ripari, ma era ormai troppo tardi, in una spirale di tensioni sociali e di violenze che hanno portato alla creazione di veri e propri ghetti identitari, e a nulla sono valsi né la messa al bando del burqa né le intimazioni agli immigrati musulmani di “essere normali o andarsene”. Il miraggio dell’autonomia etnico-confessionale si è insomma rivelato tale in Olanda, ma la mancata integrazione è un problema che riguarda ormai tutte le grandi democrazie europee.
In una delle sue ultime interviste il politologo Giovanni Sartori disse che è un’illusione credere di poter “integrare pacificamente un’ampia comunità musulmana, fedele a un monoteismo teocratico che non accetta di distinguere il potere politico da quello religioso, con la società occidentale democratica” e aggiunse che la Storia non ricorda casi in cui l’integrazione di islamici all’interno di società non-islamiche sia riuscita. Lo stesso scetticismo è stato più volte espresso anche dall’ex presidente del Senato Marcello Pera: o ci impegniamo a integrare gli altri facendoli diventare cittadini della nostra civiltà – con la nostra educazione, la nostra lingua, la conoscenza della nostra storia, la condivisione dei nostri princìpi e valori – oppure la partita dell’integrazione è perduta. Il concetto di cives consentì, per centinaia di anni, all’Impero romano di integrare culture e società profondamente diverse: alla base c’era un concetto ferreo che per appartenere alla stessa società è necessario partecipare delle stesse regole e soggiacere allo stesso diritto. La differenza tra la tolleranza delle società cristiane rispetto alle società islamiche è che Giustiniano innestò sul cattolicesimo la grande eredità del diritto romano, mentre nell’Islam la religione è il diritto. Invece in Olanda, come in Francia e in Gran Bretagna, si sono create delle enclave in cui è consentito rispondere a un diritto particolare, alla sharia.
Nessuna meraviglia, dunque, se l’immigrazione incontrollata ha alimentato i populismi e prosciugato il bacino elettorale delle sinistre europee, sempre più arroccate in fortilizi elitari lontani dalla realtà in cui si predicano solo i diritti senza doveri.