L’immagine di una persona allo specchio spesso, è significativa per farne intravedere, almeno in parte, i difetti. Dal giorno dell’insediamento ho osservato molto questo governo, nei gesti e gli atteggiamenti, e quello che è emerso, da un esecutivo nato quasi per volontà divina, non è molto rassicurante, perlomeno agli occhi di chi ritiene che in politica la forma sia presupposto essenziale della sostanza. Citerò in ordine sparso alcuni episodi (insignificanti agli occhi dei più e per questo passati via alla chetichella da tutti i giornali e le televisioni o liquidati con un sorriso) che dimostrano un integrale disprezzo per le istituzioni figlie di un’epoca non in linea con i trattati europei e i diktat del globalismo finanziarista. Fare le riforme e farle in fretta è il mantra di questi mesi, altrimenti non arrivano i soldi del Recovery quasi fossero la paghetta promessa dal nonno al nipotino invitato a finire i compiti alla svelta in cambio del gelato. Riforme che metteranno l’Italia con la testa sul ceppo per i prossimi decenni alla mercè di chi da sempre e con ogni mezzo lavora per farne una colonia terra di conquiste. Moro diceva che per fare le cose occorre il tempo che occorre ed è (o almeno dovrebbe essere) questa la grande differenza tra l’equità e l’ingiustizia. Le gaffe inanellate dal governo, nel silenzio assordante di una opinione pubblica ipnotizzata dal fascino ieratico del professore, sono molte.
Dalla ministra della giustizia Cartabia che giura e poi torna a sedersi senza aspettare la controfirma di Mattarella a Draghi che per due volte si rivolge ai senatori in aula chiamandoli onorevoli (e una volta ripreso dagli scranni dell’emiciclio, liquida il tutto con un “ah, già!” perché in fondo il Parlamento rallenta con i suoi ghirigori e le sue eterne discussioni e meno ci si va meglio è ). Per non parlare del mancato inchino, sempre del Premier, alla bandiera il giorno dell’insediamento con il colonnello dell’esercito che lo richiama e Draghi che guarda in aria già stufo degli intralci di una Repubblica che funzionerebbe meglio in smartworking. Last but not the least, l’annuncio del banchiere prestato alla politica di lavorare gratis per il Paese, atteggiamento frutto della più deleteria antipolitica anche se colorata da integrità morale. e senso delle istituzioni. Rinunciare allo stipendio non solo degrada il lavoro svolto a passatempo per quando fuori piove ma svilisce l’importanza della carica e provoca un effetto domino pericolosissimo. Tra quanto chiederanno ai Sindaci e ai consiglieri di circoscrizione di lavorare per nulla? In fondo se l’ha fatto super Mario possono farlo tutti, no? Così per combattere i professionisti della politica si mette a repentaglio la professionalità dell’agire politco, che quello sì dovrebbe guidare chiunque si occupi di cosa pubblica. L’emergenza pandemica si è tramutata precipitosamente in emergenza democratica dando sfogo a chi, senza freni inibitori, ha lottizzato le istituzioni per interessi non certo nazionali. Il dramma vero, però, è che coloro i quali dovrebbero, per storia e vocazione, opporsi a questo sistema sono anch’essi della partita. Da tempo.