La sinistra, con l’unica eccezione di Renzi, continua a rifiutare ogni collegamento fra la scomparsa di Saman e l’Islam, parola proibita nel vocabolario del multiculturalismo politicamente corretto. E allora Letta parla solo di “efferato femminicidio” che, se confermato “va trattato con la massima durezza”, mentre la capogruppo Serracchiani nega addirittura che si tratti “di una questione religiosa o di appartenenza etnica”, e liquida l’argomento in modo tanto semplicistico quanto sconcertante: ci vuole un’attenzione maggiore a quanto accade nelle famiglie ai ragazzi e alle donne. Come se non ci fosse differenza alcuna tra le famiglie medie italiane e quelle immigrate di origine islamica. Resta purtroppo un velo ideologico che oscura la realtà in tanta parte della sinistra, che viene da molto lontano, da quando i suoi intellettuali tifarono per la rivoluzione khomeinista in Iran, vista come lo strumento salvifico per sconfiggere il Satana americano e il capitalismo. E tanti campioni del progressismo si voltavano dall’altra parte davanti a chi gli ricordava che in Iran i gay vengono impiccati e le donne sottomesse.
Eppure la vicenda di Saman ricalca tragicamente quella di Hina Saleem, sgozzata dal padre nell’estate di quindici anni fa per la sola colpa di essersi integrata nei costumi occidentali e di vestire come le sue coetanee italiane. E quella di Sanaa, cresciuta in Italia, riportata in Pakistan e morta sgozzata da padre e fratello perché voleva sposare un italiano.
Souad Sbai, leader delle donne marocchine in Italia, denuncia da anni che molte immigrate vivono in uno stato di costrizione molto più qui che nei loro Paesi di appartenenza, e questo è un paradosso che spiega molto bene quanto sia difficile integrare l’Islam nelle società occidentali, anche se certe pratiche come l’infibulazione a cui vengono sottoposte molte bambine immigrate, non hanno nulla a che vedere con la religione ma vengono comunque “consigliate” da imam provenienti da Egitto e Somalia. I dossier presentati al Parlamento sono sconvolgenti, e descrivono sistematiche situazioni di violenza domestica, fisica e morale. Il non voler portare il velo, il non voler contrarre matrimoni poligamici, la resistenza a sottostare a stili di vita opprimenti dal punto di vista psicologico e fisico porta a chi si ribella conseguenze spesso devastanti. Il loro destino è di rimanere fantasmi senza alcun diritto, recluse in casa, nella paura e nell’indifferenza.
Il fratello di Saman ha raccontato che i suoi genitori e lo zio presunto assassino sono dei “musulmani osservanti” e che gli scontri che la ragazza aveva con loro nascevano anche dal suo rifiuto di rispettare gli “obblighi religiosi del Ramadan”. E quando gli hanno chiesto quali sarebbero, nella loro cultura, le conseguenze per una ragazza che si comporta come ha fatto Saman, ha risposto: “Nella nostra cultura, va bene quando una ragazza scappa di casa, ma quando smette di essere musulmana lei viene uccisa. Nel nostro Corano c’è scritto che se una smette di essere musulmana, deve essere sepolta viva con la testa fuori dalla terra e poi uccisa con lancio di sassi contro la testa”. Ecco i frutti avvelenati del tradizionalismo fondamentalista e liberticida importato nelle nostre città. Ma per la sinistra no, l’Islam non c’entra mai. Anzi, da quella parte sono giunti solo plausi all’Ucoii, costola italiana dei Fratelli musulmani, che ha lanciato una fatwa contro i matrimoni forzati. Come se fossimo in Italistan, e non vigesse già la nostra legge.