Ma dove si sono nascoste le sentinelle della democrazia? Le vestali della Costituzione più bella del mondo sempre pronte a insorgere ogni qualvolta il Parlamento ha provato a mettere in cantiere una riforma istituzionale che prevedesse il rafforzamento del potere esecutivo? Si sono tutte inchinate ai piedi dell’avvocato del popolo Giuseppe Conte, che ha trasformato il 2020 nell’anno dei pieni poteri (poteri effettivi, non quelli maldestramente rivendicati da Salvini un anno fa). Eppure i campanelli d’allarme sono già ampiamente squillati. Ecco il primo: l’Italia è l’unico Paese in cui il governo ha preteso di estendere all’autunno lo stato d’emergenza nazionale per l’epidemia Covid: lo proclamò per primo, a fine gennaio, e sarà di gran lunga l’ultimo a revocarlo. Il premier intendeva – e probabilmente questo resta il suo obiettivo – prorogarlo fino a Natale, ma per ora ha ripiegato sulla scadenza del 15 ottobre con la scusa di non buttare a mare i provvedimenti in corso d’opera per il contenimento della pandemia, ma le motivazioni tecniche nascondono sempre mire politiche, e in questo senso il lockdown ha lasciato tracce non proprio rassicuranti: durante l’emergenza lo stesso premier infatti si è surrettiziamente appropriato dei poteri eccezionali che sarebbero previsti dall’articolo 78 della Costituzione solo ed esclusivamente per lo stato di guerra, e limitando la libertà dei cittadini a colpi di Dpcm – ossia atti amministrativi – si è mosso ai limiti della legalità costituzionale mettendo sempre il Parlamento di fronte al fatto compiuto.

Il secondo è ancora più inquietante: dopo aver inserito di nascosto la riforma dei servizi segreti nel decreto di proroga dello stato d’emergenza (se lo avesse fatto Berlusconi, sarebbero esplose pilotate rivolte di piazza), Conte è stato costretto a desecretare i documenti del Comitato tecnico-scientifico, e si è scoperto che il lockdown su tutto il territorio nazionale non era stato deciso dagli scienziati, che avevano dato un’indicazione del tutto diversa, limitandosi a suggerire le zone rosse solo nelle regioni del nord, ma esclusivamente dal governo. Una decisione tutta politica, dunque, dopo che per settimane si era fatto credere agli italiani che il potere esecutivo si fosse rigorosamente attenuto ai consigli del comitato. Una bugia che il premier scandì il 26 marzo perfino davanti al Parlamento. Ora sul governo pendono due macigni entrambi enormi: perché non decise tempestivamente le zone rosse nella Bergamasca, e perché ha tenuto chiuso per due lunghi mesi tutto il Paese uccidendo milioni di imprese? Di tutto questo, si spera, Conte dovrà presto rispondere al Parlamento e alla magistratura inquirente.

Ma, a proposito di campanelli d’allarme, ce n’è un altro gravissimo, ma che la grande stampa sta derubricando a ordinaria amministrazione: Salvini, il leader dell’opposizione, è stato infatti mandato a processo dal Parlamento con un’accusa gravissima e infamante: sequestro di persona, un reato per cui si rischia fino a quindici anni di galera. Una storia allucinante, per cui una decisione collegiale assunta dal precedente governo – di cui quel politico faceva parte – nel rigoroso rispetto del programma concordato sulla gestione dei flussi migratori, è stata poi rinnegata e rovesciata contro di lui per una evidente rappresaglia politica. E questo dopo che l’ex potente capo dell’Associazione nazionale magistrati aveva confidato a un pm che era un dovere attaccare Salvini anche se aveva ragione. Viva la democrazia.