Uno dei fondamenti della democrazia liberale è la pari dignità delle opinioni, dei programmi e della libertà di scelta, e invece è già partita la mobilitazione per difendere “la Costituzione nata dalla Resistenza” dagli “assalti della destra” che, se vincesse il 25 settembre con una larga maggioranza, potrebbe cambiare da sola la Costituzione senza passare neppure dal referendum confermativo. Per questo Letta ha cercato di mettere insieme una “coalizione d’emergenza contro la deriva autoritaria”. Oddio, ma il Pd non ci aveva pensato quando a rimorchio del populismo grillino votò la riduzione dei parlamentari ben sapendo che, con questa legge elettorale, si può arrivare più facilmente al 66 per cento dei seggi? Se golpe fosse, insomma, l’avrebbero favorito loro.
Nel mirino della sinistra militante c’è soprattutto il presidenzialismo, già bollato come una condanna alla ghigliottina del Parlamento.
Ora, a parte che l’elezione diretta del capo dello Stato è una riforma gradita alla grande maggioranza degli italiani, paventare un cambiamento che faccia scivolare l’Italia verso un regime illiberale è un’eresia, o per meglio dire una castroneria, perché il nostro sistema ha robusti contrappesi per scongiurare tentazioni che nessuno peraltro coltiva.
Il sistema molto simile a quello semipresidenziale francese proposto da Fratelli d’Italia, infatti, non costituisce un vulnus democratico, e la sinistra italiana dovrebbe esserne cosciente, visto che la bicamerale presieduta da D’Alema ondeggiò tra semipresidenzialismo e premierato forte, e lo stesso Letta, quando era premier, lanciò un sasso in favore dell’elezione diretta del presidente della Repubblica. Ma il problema è che da quella parte resta forte il pregiudizio – erede del paradigma antifascista – secondo cui il centrodestra non ha per principio il diritto ad aspirare alla guida del Paese, e quindi è vietato toccare la Costituzione senza il placet della sinistra.
Ma quando fu introdotta l’elezione diretta di sindaci e presidenti delle regioni la stessa sinistra salutò quel modello come un’innovazione utile alla democrazia, perché responsabilizza di fronte al corpo elettorale i capi delle amministrazioni, e non escluse di applicarlo anche a livello nazionale (Renzi lo sbandiera ancora). Se lo propone il centrodestra, però, quel modello diventa ipso facto autoritario. Anche se l’iter per arrivarci è previsto proprio dalla Costituzione, i cui estensori non a caso lasciarono alcune pagine incompiute per consentire di adeguarla ai tempi.
Non a caso illustri padri costituenti come Calamandrei, Mortati e Perassi, si batterono fino all’ultimo per non arrivare a un sistema parlamentare con governi instabili: sapevano bene, infatti, che il fascismo non era stato il prodotto di esecutivi forti, ma, anzi, della debolezza dei governi precari dell’ultimo periodo liberale.
Ma chi glielo spiega a Letta?