Stato d’emergenza nazionale, rafforzamento del decreto Cutro e missione in Tunisia sono le risposte del governo a un’ondata migratoria che pare inarrestabile. Da sinistra è partita subito una pioggia di critiche e di distinguo, e nella gara a chi si indigna di più si è distinta Marwa Mahmoud, uno dei volti nuovi che Elly Schlein ha voluto accanto a sé per cambiare volto al Partito democratico, secondo la quale non è lecito “definire le persone col linguaggio usato per i cataclismi”. Così come la Schlein, tornata in pista dopo le vacanze di Pasqua, si è scagliata contro l’ipotesi di una stretta alla protezione speciale. Nulla di sorprendente, visto che la linea Dem nega pervicacemente che esista un’emergenza migratoria. In questo, peraltro, nulla è cambiato da Letta a Schlein, basta rileggere il programma presentato dal Pd alle ultime politiche.
Scorrendo le cronache del 2011, quando – unico precedente in materia – il governo Berlusconi a febbraio deliberò lo stato di emergenza umanitaria, si ha l’amara conferma che in dodici anni tutto è rimasto immutato sul fronte dell’immigrazione: anche allora il problema era infatti “l’afflusso di numerosi cittadini nordafricani nel territorio meridionale”, e il governo cercò con grande fatica di distribuire i migranti in tutte le regioni. Anche allora, l’epicentro dell’emergenza era Lampedusa, e il presidente Napolitano, in visita ufficiale negli Stati Uniti, disse che “il problema dell’afflusso di immigrati sulle coste italiane non è solamente nostro ma dell’intera Europa, per questo abbiamo bisogno di politiche univoche sia sull’immigrazione che sull’asilo politico”. Parole condivise dal premier Berlusconi (“Ci aspettiamo che dall’Ue escano misure di concreto sostegno al nostro Paese”) in una conferenza stampa congiunta col presidente della Commissione Ue Barroso, il quale promise “una maggiore solidarietà e condivisione degli oneri. L’Italia si trova in prima linea ed è legittima la sua preoccupazione sul dossier immigrazione”. L’impegno fu quello di presentare “entro giugno” un piano per la gestione dei flussi migratori (anche nel 2023 l’Italia sta aspettando giugno per sapere se e cosa farà l’Europa… corsi e ricorsi storici).
Non poteva mancare, poi, l’appello ai partner comunitari perché affiancassero l’Italia nel fronteggiare l’aumento esponenziale dei flussi, anche allora, da Libia e Tunisia. Significativi, e ancora attualissimi, i commenti dei media: “L’idea che le partenze dal Nordafrica si fermino di colpo si sta rivelando illusoria: per questo sarebbe pericoloso continuare ad alimentarla. I tempi tecnici perché si comincino a vedere risultati richiederanno mesi di rodaggio… Ma la previsione realistica è che intanto la marea umana dalla Tunisia e poi dalla Libia non finirà”. Immancabili, e ripetitive, le polemiche sull'”invasione” denunciata dal centrodestra e negata dalla sinistra, e quella su permessi a tempo e rimpatri. I giornali intanto davano conto del viaggio di Berlusconi e Maroni a Tunisi, concluso con la firma di un protocollo d’intesa con l’obiettivo di rafforzare il controllo dei flussi migratori e facilitare il rimpatrio degli immigrati irregolari, mentre il governo tunisino avvertiva che senza un piano da 5 miliardi su scala europea, entro tre mesi ci sarebbe stata una catastrofe umanitaria. Il 2011 era l’anno delle primavere arabe, che suscitarono grandi speranze poi in gran parte andate deluse, tanto che dodici anni dopo la Tunisia è di nuovo sul punto di implodere, ed è in programma una missione a Tunisi del ministro Piantedosi e della commissaria agli Affari Interni della Commissione europea Johansson. Oggi come allora, inoltre, la Tunisia è in attesa di un finanziamento salvifico, stavolta da parte del Fondo monetario internazionale. Un triste dejavu, insomma, che certifica il fallimento delle politiche europee, col 2023 che per l’Italia rischia di diventare l’anno record degli sbarchi.