Lo stallo sulla prescrizione, sancito con l’approvazione di un ordine del giorno tartufesco alla Camera, era facilmente pronosticabile, viste le posizioni contrapposte dei partiti di maggioranza che ricalcano in modo speculare quelle già esistenti nelle due precedenti coalizioni di governo. La genericità del testo (migliorare l’efficienza della giustizia penale per assicurare una durata media dei processi in linea con quella europea) ha permesso a ognuno dei sottoscrittori di cantare vittoria. Presto vedremo se il cosiddetto “metodo Cartabia”, che intende superare l’impasse degli steccati ideologici per impostare il confronto su un piano più strettamente tecnico, riuscirà a dare buoni frutti, convincendo il grillismo di governo ad abbattere anche il suo ultimo totem identitario, quello secondo cui in Italia gli innocenti non vanno mai in carcere. Ma trattare con un Movimento che ancora definisce la riforma della prescrizione come “una conquista di civiltà imprescindibile per il nostro Paese” non sarà facile nemmeno per una figura autorevole come la nuova ministra della Giustizia.
Per ora bisogna stare ai fatti, e prendere atto che la prima prova del nove sulla tanto attesa discontinuità con le politiche giudiziarie dell’era Conte – cioè gli emendamenti al decreto Milleproroghe – si è conclusa con l’ennesimo compromesso al ribasso. Far procedere insieme nodo prescrizione e riforma del processo penale è una strada corretta, a patto che non si prenda come testo base la legge delega firmata Bonafede. Per una svolta davvero nel segno del garantismo, insomma, bisognerebbe riscrivere tutto daccapo. Cosa che però né i Cinque Stelle, né tantomeno il Pd, sembrano disposti a concedere. E allora? Fratelli d’Italia, l’unico grande partito rimasto all’opposizione, ha avuto buon gioco nel dire che a prevalere è stata ancora una volta la logica giacobina del Movimento, visto che la riforma Bonafede resta pienamente in vigore: una logica a cui si sono assoggettati anche i più convinti fautori delle istanze garantiste che fanno parte della nuova maggioranza, bocciando l’emendamento di FdI che puntava a bloccare il percorso verso il processo infinito in attesa che si potesse chiarire il quadro complessivo. E’ stato come infilare la lama nel burro sostenere che, sul fronte della giustizia penale, l’esordio del governo Draghi è stato alquanto deludente.
La ministra Cartabia rischia dunque di trovarsi di fronte a un’equazione impossibile nella ricerca di un punto di sintesi sulla riforma del processo penale i cui tempi vanno certo accelerati, ma senza che questo finisca per comprimere ulteriormente le garanzie del cittadino imputato dopo due anni terribili in cui anche gli ultimi scampoli di garantismo sono stati stritolati dallo Spazzacorrotti e della prescrizione abolita dopo il primo grado di giudizio. Inutile girarci intorno: la dottrina Bonafede al servizio del partito delle Procure non è affatto scomparsa, e mantiene salde le sue casematte anche nell’esecutivo di salvezza nazionale.  Auguri, ministra Cartabia.