Nel 2008 il centrodestra stravinse le elezioni e Berlusconi – che aveva appena fondato il Pdl – formò il suo quarto e ultimo governo, che sull’onda di un pienissimo mandato popolare sembrava poter aprire una stagione di grande stabilità politica, resa peraltro necessaria dalla nuova crisi finanziaria mondiale che si stava profilando. Quell’anno entrai per la prima volta in Parlamento, con l’entusiasmo del neofita che fu però subito travolto da un crescendo di polemiche e dissapori interni: la fusione tra Forza Italia e An produsse infatti frutti avvelenati, e la luna di miele del governo durò meno nel partito che nel Paese, con un progressivo e inevitabile sfaldamento politico. Rimetto in fila una serie di eventi dell’epoca come memento per il centrodestra che ora si trova, per la prima volta, al governo del Paese senza il suo fondatore-federatore. Il controcanto al premier della componente finiana iniziò quasi in tempo reale, e vissuto dal di dentro fu uno spettacolo inguardabile: il peggio del correntismo esasperato spacciato per nobile politica d’avanguardia con un unico, ossessivo bersaglio, Silvio Berlusconi, contro cui fu orchestrata una strategia destabilizzante condotta col collaudato metodo della minoranza organizzata. Via via che passavano i mesi fu sempre più chiaro che era in atto un sabotaggio politico in piena regola – a un partito, a un governo e a una maggioranza – spacciato per sacro diritto al dissenso. Una volta, violentando la storia, il Secolo d’Italia, che pure formalmente era l’organo ufficiale del Pdl, arrivò a scrivere che Berlusconi era peggio di Lenin.

Alla vigilia delle regionali del 2010, il presidente della Camera si premurò di denunciare “la bruttezza di questo Pdl”, abbandonando al suo destino la candidata governatrice del Lazio Polverini, peraltro da lui fortemente voluta, con la fondazione Farefuturo che invitò a disertare le urne. Fu una strana mutazione genetica, quella di una parte della destra missina cresciuta nel mito del Superuomo, che la portò a combattere una lunga guerra di posizione contro Berlusconi in nome del no all’Uomo forte. Bisognava scomodare Freud, più che Max Weber, per cercare una risposta, perché non c’erano fondate motivazioni politiche che giustificassero quel tradimento. Il Pdl stava infatti vincendo tutte le elezioni, anche quelle da cui la sua lista era stata esclusa, come quelle del Lazio. Nulla da fare: nacque Futuro e Libertà, e la crisi da strisciante divenne effettiva quando, col discorso di Todi, Fini decise il ritiro della delegazione di Fli dal governo con la richiesta esplicita delle dimissioni del premier. Ne accaddero di tutti i colori, a partire dal braccio di ferro tra presidenti di Camera e Senato sull’incardinamento della legge elettorale, uno scontro istituzionale senza precedenti. In una situazione sempre più precaria, il governo resse per tre voti nella drammatica votazione del 14 dicembre grazie a un gruppo di “responsabili”, sopravvisse per un anno ma poi fu costretto a gettare la spugna per eventi fin troppo noti. Ma è evidente che l’origine del disfacimento era stata il disegno finiano di uccidere in culla il Pdl.

Direte: cosa c’entra questo lungo e tormentoso preambolo con l’attualità? Speriamo nulla, perché il centrodestra ha una nuova conformazione, i rapporti di forza interni sono profondamente cambiati a favore della Destra, che ha espresso una leader autorevole a apprezzata, come capo di governo, anche da chi in Europa diffidava di lei. Non solo: l’opposizione è divisa più di allora e al momento non pare in grado di proporre nemmeno una parvenza di alternativa credibile. Ci sarebbero tutte le condizioni, insomma, per una navigazione tranquilla. Ma su troppi dossier stanno emergendo segni di tafazzismo che lasciano interdetti, dall’Aventino sul Mes alla riforma della giustizia, dal commissario per l’alluvione in Emilia ad alcuni improvvidi e ingiustificabili incidenti parlamentari. Se fosse l’inizio di un posizionamento dei partiti in vista delle europee sarebbe puro avventurismo, se poi qualcuno puntasse già ora all’indebolimento della premier sarebbe ancora peggio. Certo, spetta soprattutto a Giorgia Meloni saper gestire il dopo Berlusconi, ma quando partono le guerriglie politiche c’è sempre il rischio che sfuggano di mano, anche al di là delle intenzioni. Ripassare la sedicesima legislatura, dunque, e tenere a mente la lezione.