Il nuovo boom di sbarchi a Lampedusa – quattromila in poco più di un giorno – dimostra quanto l’Europa continui a lavarsi le mani di un’emergenza ormai strutturale (sembra un ossimoro ma non lo è): l’ultimo Consiglio europeo ha infatti rinviato la questione a giugno, nonostante la crisi finanziaria tunisina, dai drammatici risvolti sociali, si sia già trasformata in una polveriera incontrollabile. Lo sblocco del prestito da 1,9 miliardi del Fondo monetario non è più rinviabile, ma per i vertici comunitari, in tutta evidenza, il problema è secondario, perché le conseguenze le sta pagando solo l’Italia.
Restano così irrisolti tutti i nodi cruciali, dal controllo dei flussi, alla lotta agli scafisti, fino al blocco delle partenze e ai ricollocamenti, una querelle che va avanti da anni senza mai risposte. “L’Italia non può diventare il campo profughi d’Europa” è uno slogan efficace, che rischia però di scontrarsi con la realtà se non ci sarà una vera presa di coscienza comunitaria sulla questione-Africa. Finora questa consapevolezza è del tutto mancata: si è proceduto in ordine sparso, prima facendo accordi con la Turchia perché si tenesse i profughi siriani, poi autorizzando il ritorno dei muri ai confini orientali, ma fallendo ogni tentativo di controllare il Mediterraneo centrale – vedi l’esito dell’operazione Sophia -, mentre latita ancora un sistema comune di asilo.
La guerra in Ucraina, con i milioni di rifugiati da accogliere, ha lasciato ulteriormente scoperto il fronte sud, ma è un’omissione gravida di conseguenze, perché il fenomeno migratorio dall’Africa – come ha lucidamente avvertito Panebianco – presto cambierà il volto stesso dell’Europa, con gli Stati nazionali destinati a trasformarsi in Stati multietnici a causa del ribaltamento del rapporto numerico fra autoctoni e immigrati.
Uno scenario confermato dalle proiezioni demografiche: nel 2050 l’Africa arriverà ad avere due miliardi e mezzo di abitanti, mentre gli italiani saranno 54 milioni rispetto ai 59 di adesso. E sempre nel 2050 la popolazione della Germania diminuirà dal 16 al 17% rispetto agli attuali 84 milioni, mentre per quella della Nigeria è prevista una crescita del 121%, e ci sarà anche un raddoppio della popolazione al sud del Sahara (circa un miliardo di persone). Inutile dire che povertà, repressioni e fattori climatici determineranno una pressione migratoria sempre più forte sull’Europa e non basteranno improvvisati piani Marshall ad arginarla. Ci vorrà molto di più per rendere effettivo l’auspicio di papa Francesco, che ha giustamente anteposto “il diritto a non emigrare” a quello di emigrare.
Nel mondo globalizzato l’immigrazione non si può fermare ma va assolutamente governata. Sono già molti i Paesi al cui interno convivono etnie, religioni e lingue diverse, ed è necessario capire come trasformare questa diversità in un modello di convivenza sociale che non calpesti i nostri valori e consenta una vera integrazione. In questo senso, basterebbe non ripetere gli errori di Gran Bretagna, Olanda e Francia, che hanno fatto nascere al loro interno una serie di ghetti etnici, confessionali e identitari in cui vige la sharia. L’Italia ha un problema drammatico: il saldo demografico negativo, che diventa attivo solo grazie all’apporto degli immigrati. E´ dunque chiaro che concedere la cittadinanza a chiunque nasce in Italia, come vuole la sinistra, significherebbe semplicemente avviare un processo che porterà a modificare progressivamente il volto del nostro Paese: se tutti i figli degli immigrati venissero naturalizzati, gli italiani autoctoni fra qualche decennio diventerebbero la minoranza. Per non farlo diventare un processo irreversibile, ci vogliono politiche lungimiranti a livello nazionale, ma servirebbe soprattutto una gestione comunitaria delle migrazioni. L’Europa, però, continua a ignorare la questione. E Lampedusa intanto esplode, col governo italiano stretto fra l’incudine migratoria è il martello europeo pronto solo a sanzionarlo alla prossima tragedia.