Non mi intendo di economia. Sono riuscito, in piccolo, a scalare le tappe del cursus honorum dell’amministrazione comunale senza essere mai stato capace di far tornare nella mia mente, componendoli in un tutto logico e organico, i numeri di un bilancio. All’inizio me ne facevo un cruccio, alla fine mi sono convinto che avesse ragione Aldo Moro quando diceva che per ricoprire incarichi che si intersecano per loro natura con profili molto tecnici non importa essere degli specialisti in materia se si ha l’umiltà di farsi spiegare le cose e altrettanta capacità nel comprenderle. Questo perché alla fine tutti gli incarichi sono politici e nel momento in cui la politica abdica il proprio ruolo ai tecnici non palesa solo la propria incapacità ma tutta la propria insipienza e mancanza di coraggio. Il fatto poi che i professori applicati alla politica facciano un danno peggiore del problema che sono chiamati a risolvere è ormai dimostrato dai fatti anche se, nonostante i fatti siano testardi, il vizio dell’uomo a perpetuare i propri errori è duro a morire. Dopo l’esperienza nefasta del governo Monti abbiamo, infatti, rilanciato e raddoppiato una seconda volta chiamando Draghi al capezzale dell’Italia morente anziché cogliere l’occasione per rivendicare il ruolo e il valore della politica, quella buona, tentando finalmente un lungo e faticoso percorso nel deserto per creare una classe dirigente all’altezza. Ciò premesso, mi sono imbattuto recentemente in un articolo che traeva spunto dalle dichiarazioni dell’ex ministro delle finanze tedesco Wolfgang Shauble in cui si paventava una “pandemia da debito pubblico” susseguente al piano di aiuti europei del Next Generation Eu. Non entro nel merito del dibattito che si è creato, né voglio analizzare i dati contabili sui quali si regge l’impalcatura del ragionamento dell’ex plenipotenziario della Germania targata Merkel. A onor del vero, ho sempre ritenuto che la valanga di miliardi che si stanno riversando sui paesi dell’UE sarà, specie per quelli con economie più fragili, il cappio intorno al collo con cui Bruxelles terrà sotto ricatto i governi, costretti ad accettare prestiti in cambio di condizioni giugulatorie e riforme dolorosissime. Ma il punctum dolens che emerge dal discorso di Shauble non è tanto sul merito ma sulla metodologia con cui ci si approccia ai numeri. E qui sorgono alcune domande. Gli Stati sono dei meri coefficienti oppure, oltre a indicatori e percentuali, ci sono aziende, imprese, uomini e donne in carne e ossa? La valutazione della salute patrimoniale di un popolo sta solo nell’andamento del suo debito pubblico, prescindendo dal debito e le risorse private e dalla proprietà immobiliare di una nazione operosa che ha fatto della casa e del risparmio i propri baluardi? La storia insegna, inoltre, che il valore intrinseco della moneta ha portato stabilità e pace laddove imperava (il fiorino d’oro si è svalutato in un secolo quanto il dollaro in un giorno dopo l’abbandono dei patti di Bretton Woods sotto Richard Nixon): vogliamo quindi retrocedere a dettaglio secondario il fatto che, pur non avendo più capacità di battere moneta, la Banca d’Italia avrebbe riserve auree che la pongono al terzo posto a livello mondiale e di cui è stata immotivatamente privata? Un ultimo elemento. Due anni e mezzo fa i mercati e Bruxelles si agitarono attorno all’annuncio di un rapporto deficit/Pil del 2,4% (poi ritoccato al 2,04%); ora il giorno in cui Draghi ha annunciato uno scostamento di bilancio di 40 miliardi (ben oltre le attese) e un rapporto deficit/Pil previsto per l’11,8%, lo spread è magicamente sceso. Non credo nei complotti ma delle due l’una: o ci rassegniamo a tradurre tutto in numeri e algoritmi, con quello che ne deriva, o diamo finalmente il giusto peso ai mercati sottraendo loro il potere di condizionare le nostre vite. Toccherebbe alla politica, se non è di troppo disturbo