Il mondo del pacifismo aspetta l’insediamento del governo di centrodestra per manifestare contro la guerra, evitando ovviamente di distinguere tra chi l’ha provocata e chi la subisce. E’ stato Conte a mettere il cappello sulle pulsioni filo-putiniane che imperversano sul web per portarle in piazza con tutti i rischi del caso, perché l’esperienza insegna che queste mobilitazioni sono l’acqua ideale in cui nuotano le frange estremiste. Manifestare è ovviamente un diritto che va sempre tutelato, ma è altrettanto lecito rimarcare la direzione strabica del variegato movimento arcobaleno da sempre avverso agli Stati Uniti e alla Nato. Negli appelli per la pace non si citano mai le colpe di Putin e si punta invece il dito contro l’Europa “totalmente appiattita su una strategia anglo-americana” e si deplora “l’ossessione di una ipotetica vittoria militare sulla Russia”. Insomma: a non volere la pace non è il Cremlino che minaccia l’uso dell’atomica, ma il fronte che si oppone a un’invasione criminale e illegittima. Ma il colmo è che la “Rete italiana pace e disarmo” ha proposto la data del 4 novembre per manifestare: un’autentica provocazione, visto che coincide con la Festa delle Forze Armate, considerato dai pacifisti “un giorno di lutto”. A proposito di ricorrenze, c’è un precedente che vale la pena ricordare: il 2 giugno del 2019, quando la ministra Trenta – grillina – volle trasformare la parata dei Fori Imperiali a una specie di marcia pacifista arcobaleno, e ci fu la protesta pacifica di tre generali che, disertandola, ricordarono che sono le Forze Armate, e non disarmate, a conservare la pace. Ebbene: il 4 novembre le nostre Forze Armate sfilano come garanzia di difesa dei valori democratici e come simbolo dell’unità nazionale, oltre che del loro impegno a rappresentare l’Italia nelle missioni internazionali. Nell’ultimo quarto di secolo hanno preso parte a oltre 130 missioni militari all’estero in ambito Nato, Ue e Onu, offrendo un contributo importante agli sforzi della comunità internazionale per promuovere la pace e la sicurezza collettiva, e questo sforzo diventa ancora più necessario oggi, nel momento in cui la crisi geopolitica ha portato la guerra nel cuore d’Europa. Ma nei giorni in cui i caccia italiani si sono alzati in volo per intercettare quattro aerei russi che avevano violato gli spazi aerei polacco e svedese, il pacifismo non trova di meglio che protestare contro l’alleanza militare impegnata a contrastare l’espansionismo imperiale russo. C’è un paraocchi ideologico che porta a ragionamenti del tipo “continuare ad inviare armi pensando che si possa arrivare ad una vittoria militare sulla Russia rischia di portarci a un’escalation nucleare”, o, peggio, “non me ne frega niente di un pezzo di terra che sia o diventi di proprietà di un qualsiasi Paese”. Come se in quel pezzo di terra chiamato Ucraina non ci fossero in gioco libertà, democrazia, milioni di vite umane e il rispetto del diritto internazionale. Invece non sono bastate le atrocità commesse dall’esercito russo e scoperte nelle città appena liberate, né i proclami di Putin di considerare eterna la conquista dei territori occupati, per far deflettere dai loro convincimenti i pasdaran del negoziato, il cui concetto di pace equivale solo all’annientamento di un Paese sovrano che aprirebbe altri drammatici scenari di guerra. Aspettiamo dunque di vederli all’opera questi pacifisti, e speriamo di non dover riascoltare nei loro cortei anche il macabro e rivoltante refrain di tante passate manifestazioni arcobaleno: “Dieci, cento, mille Nassiriya”.