C’erano una volta i governi balneari che servivano a far decantare situazioni complesse e a rimettere ordine nelle faide di corrente della Dc: nascevano con la data di scadenza già concordata e si limitavano a gestire l’ordinaria amministrazione. Il riferimento a quell’epoca lontana torna imprevedibilmente attuale, visto il clima da faida di paese in cui sta prendendo forma il governo di centrodestra, nel senso che i bookmakers hanno già aperto le scommesse su quanto durerà, prima ancora del conferimento dell’incarico: roba da guinness dei primati. C’è il rischio insomma che a fronte di una vittoria elettorale inequivocabile corrisponda una navigazione talmente accidentata da prefigurare un percorso a ostacoli destinato ad essere molto breve. Non è un caso se un professionista delle manovre di Palazzo come Renzi sia già seduto, con tanto di pop-corn, sulla riva del fiume, arrivando a prevedere le tappe del calvario politico a cui si sta autocondannando il centrodestra: una luna di miele brevissima, anzi di fiele, poi l’inevitabile collisione con la realtà, perché senza cemento politico nessuno sarà in grado di affrontare i mesi drammatici che ci aspettano, e quindi lo show-down dopo le europee del 2024, quando il voto potrebbe penalizzare chi ha dovuto governare questa fase terribile. Ecco: questo scenario da incubo va assolutamente scongiurato, ma per farlo serve una pronta resipiscenza da parte di tutti i leader della coalizione che, non va dimenticato, in campagna elettorale non hanno perso occasione per giurare che il centrodestra governerà per cinque anni, con la promessa di aprire un cantiere di riforme a partire dal presidenzialismo. Quella appena partita dovrebbe essere insomma – addirittura! -una legislatura costituente, con tanto di bicamerale aperta alle opposizioni, ma per metterla in pratica servirà prima di tutto una maggioranza che almeno nei fondamentali abbia un denominatore comune. Invece il virus della disgregazione si è manifestato ancora prima di partire, e attenzione, non sui nodi programmatici sui quali pure qualche disaccordo esiste, ma solo sulla distribuzione dei posti di potere. Il che non è uno scandalo, intendiamoci, ma un passaggio fisiologico dei governi di coalizione: est modus in rebus, però, in quanto sarebbero questioni da risolvere rigorosamente nelle segrete stanze, altrimenti lo spettacolo diventa osceno, soprattutto in un momento in cui crisi del gas, inflazione e caro bollette prefigurano il rischio di una crisi sociale senza precedenti. Dopo il pasticciaccio del Senato ognuno ha le proprie ragioni, ma questo non giustifica l’autodafè andato in scena in questi giorni convulsi. Il metodo Meloni ha sicuramente una ratio dettata sia dall’articolo 92 della Costituzione che dalle tante emergenze in atto, per cui è sacrosanta la volontà di scegliersi una squadra di governo che sia la più autorevole possibile. Il voto del 25 settembre ha decretato una vincitrice assoluta e ridimensionato il peso degli alleati, ma stravincere in politica non porta mai bene. Sull’altro fronte, è comprensibile anche il risentimento di Berlusconi, che non intende accettare un secondo blitz ostile dopo l’affronto di Draghi, che pescò da Forza Italia tre ministri con già un piede e mezzo fuori dal partito. Il mancato voto a La Russa è stata una sgrammaticatura da matita blu, ma con il cortocircuito di presunti ricatti, controricatti e pseudo epurazioni punitive non si va da nessuna parte. Meglio, insomma, il manuale Cencelli del manuale Tafazzi. L’auspicio è che torni la ragione prima che sia troppo tardi: si trovi un punto di equilibrio per dare una risposta all’altezza del pienissimo mandato elettorale ricevuto. Il governo alla fine si farà, ma evitiamo che parta come un’anatra zoppa, altrimenti nessuno si potrà lamentare se col prossimo arriverà l’ennesimo commissariamento della politica.