Il centrodestra è sempre stato una garanzia di affidabilità internazionale, non facendo mancare neppure dall’opposizione il sostegno ai governi di sinistra che sulla politica estera hanno sempre vacillato a causa delle componenti ideologiche antiamericane. Il paradosso è che quella stessa sinistra oggi sale in cattedra per dare lezioni di atlantismo. Certo, gli audio di Berlusconi carpiti e diffusi sono stati sicuramente un grave incidente di percorso, ma non possono cancellare né la sua lunga storia di fedeltà atlantica, né la coerenza di questi mesi nel votare, a Roma come a Strasburgo, tutte le misure di sostegno all’Ucraina e di condanna dell’aggressione russa. Carta canta e villan dorme, insomma, e sia gli atti parlamentari che i programmi elettorali sono il miglior discrimine per separare il grano dal loglio: il centrodestra ha sempre votato compatto l’invio di armi a Kiev, mentre Letta ha scelto di allearsi con due forze anti-Nato come Sinistra italiana e Verdi. Ma la posizione più disinvolta è quella dei Cinque Stelle, il cui leader si è lasciato andare a una spietata requisitoria, definendo inaccettabili le parole di Berlusconi sulla guerra in Ucraina, “che delineano una politica estera inaccettabile”, per cui “Forza Italia non può esprimere il ministro degli Esteri”. Ed è questo anche il messaggio recapitato dal presidente grillino al capo dello Stato. Una sortita ai limiti dell’incredibile da parte di chi appena un mese si disse convinto che “la pace va costruita, nessuno ci dica che Putin non la vuole” e si è posto alla testa del partito della trattativa senza condizioni e del pacifismo che sfilerà all’insegna della neutralità fra Russia e Ucraina e che chiede lo stop all’invio di armi. Conte, peraltro, sui rapporti con Mosca dovrebbe usare maggior prudenza, essendo stato il premier che all’inizio della pandemia spalancò le frontiere all’esercito russo e a una delegazione “sanitaria” infarcita di militari dei servizi segreti, e i suoi due governi sono stati i più a rischio per la credibilità internazionale del Paese, basti pensare alle sbandate filocinesi sulla via della Seta e ai fondati timori degli alleati che le smagliature italiane favorissero lo spionaggio di Pechino. Anche senza scomodare il passato remoto, con la contrarietà del Pci all’installazione in Italia dei missili Pershing e Cruise per proteggerci dalla minaccia degli SS20 sovietici, la sinistra vecchia e nuova non ha dunque alcun titolo per impartire lezioni di politica estera al centrodestra, come insegna la storia della seconda Repubblica. Fu il governo dell’Unione, ad esempio, a imprimere una svolta di stampo levantino, ben simboleggiata dalla foto dell’allora ministro degli Esteri D’Alema a braccetto con un deputato hezbollah che aveva definito l’Europa “un ridicolo burattino nelle mani di Washington”. Le convulsioni di quella avventurosa maggioranza rischiarono di compromettere gli stessi rapporti con gli Stati Uniti, con il governo sempre in bilico quando si trattava di discutere questioni cruciali per il nostro principale alleato come l’ampliamento della base Usa di Vicenza. Ebbene, se per ipotesi dell’irrealtà il 25 settembre la sinistra avesse vinto alleandosi col MoVimento, nulla sarebbe cambiato rispetto ad allora, perché la coalizione a guida Pd avrebbe ugualmente proceduto in ordine sparso tra atlantisti, pacifisti e neutralisti, con faglie e contraddizioni molto più profonde rispetto al centrodestra.