Archiviato lo scandalo Palamara come un reato bagatellare, il partito delle procure si è già mobilitato contro la riforma della giustizia annunciata da Nordio. Un ministro inattaccabile in quanto ex magistrato di lungo corso, ma paragonato addirittura a Nerone
per la furia iconoclasta con cui starebbe appiccando il fuoco alle istituzioni di garanzia. Peccato che l’ordine giudiziario quella funzione di garanzia l’abbia perduta da tempo a forza di collateralismi politici, inchieste a orologeria e degenerazioni correntizie, con l’obbligatorietà dell’azione penale divenuta l’usbergo per selezionare scientificamente le notizie di reato, colpire gli avversari e salvare i partiti “amici”. Così la giustizia è stata troppo spesso il grimaldello per soppiantare la volontà popolare.
Che la giustizia italiana sia da riformare in profondità, e che il potere dei pubblici ministeri sia straripato troppo spesso in un’onnipotenza senza regole non è dunque una supposizione, ma un’amara realtà che ha triturato vite e carriere senza che mai nessuno pagasse per gli errori commessi. Lo attestano l’uso improprio della carcerazione preventiva, la lunghezza dei processi, le intercettazioni a strascico e lo sbilanciamento tra accusa e difesa che contrasta sia col sistema accusatorio che con il dettato costituzionale.
Chi oggi si straccia le vesti per le nuove regole annunciate da Nordio sulle intercettazioni finge di dimenticare la sentenza della Corte di Giustizia europea che nel marzo 2021, accogliendo il ricorso di un cittadino estone, mise nuovi e cruciali limiti alle incursioni delle Procure nei dati privati dei cittadini: i tabulati telefonici, le chat, tutto quanto in un telefono o nelle memorie delle compagnie telefoniche racconta la vita privata può essere consegnato alla giustizia solo su richiesta di un giudice e solo in caso di reati gravi, esattamente il contrario di quanto accade in Italia.
Una sentenza che ha delegittimato l’uso spregiudicato dei Trojans, da cui sono nate molte inchieste di grande clamore mediatico ma poi finite nel nulla. Ebbene, ora il governo non fa altro che perfezionare l’adeguamento ai dettami di quella sentenza che ha fissato dei paletti precisi: se non ci si trova di fronte a reati di particolare gravità o a pericoli per la sicurezza pubblica, il diritto alla riservatezza prevale sulle esigenze accusatorie, e può essere eluso solo con la presenza di un giudice imparziale nella fase decisiva delle indagini preliminari. Con la dottrina Bonafede le intercettazioni non servivano per trovare la prova di un reato già ben individuato, ma si creavano i presupposti formali per scandagliare le vite di ognuno e intercettare di tutto e di più alla ricerca di nuovi reati. Inquisizione allo stato puro, insomma. Ora, con Nordio, si volta finalmente pagina. O almeno ci si prova. La cautela è d’obbligo, visto che abbiamo alle spalle trent’anni di tentativi a vuoto.