L’ipotesi di Berlusconi al Quirinale, accolta in un primo momento tra risatine e scetticismo, ora comincia a diventare per la sinistra una sorta di emergenza nazionale, un incubo da cancellare, per cui si è già rimessa in moto la collaudata macchina della delegittimazione, quella rimasta in servizio permanente effettivo per tutto il tempo in cui il Cavaliere è stato dipinto come un pericolo per la democrazia. C’è una letteratura sconfinata di articoli, dichiarazioni e documenti che testimoniano le turbolenze politiche alimentate a più riprese dalle opposizioni, che non hanno mai esitato a colpire il Paese pur di affossare i governi di centrodestra. La guerra santa contro Berlusconi è stata combattuta dalla sinistra con tutte le armi e le alleanze possibili, anche le più spregiudicate, a partire dall’appoggio incondizionato al partito delle procure e dalle triangolazioni con terminali esteri politicamente compiacenti. Un atteggiamento sconfinato anche nel boicottaggio dell’interesse nazionale, e basato sull’assunto tutto ideologico secondo cui la volontà popolare va ribaltata quando sceglie la destra. Ora è tempo di pandemia, di unità nazionale e perfino di patriottismo, Berlusconi è uno stimato leader del Partito Popolare europeo, ma il sentiment non cambia di una virgola, e la conventio ad excludendum nei suoi confronti vale oggi per il Quirinale come valeva un tempo per Palazzo Chigi.
Aspettiamoci dunque di tutto: si annunciano già editoriali di fuoco sulla stampa estera, come dieci anni fa, nei giorni dello spread ai massimi, della Commissione europea che entrava a gamba tesa sul governo perché approvasse una nuova manovra economica e in cui l’Economist, il Times e il Financial Times intimavano sempre più apertamente a Berlusconi di lasciare la presidenza del consiglio. E sono prevedibili mobilitazioni “spontanee” di girotondini rimessi in pista per l’occasione, oltre alla raccolta di firme promossa tempestivamente dal Fatto quotidiano.
Quando il Pd è disperato dà sempre il peggio di sé, e in questo Letta non è certo migliore dei suoi predecessori: si prepara alla battaglia per il Quirinale con un alleato – Conte – che come lui non controlla le truppe, e si sta quindi attaccando alle funi del cielo per teorizzare che l’elezione di un presidente eletto senza voto bipartisan sarebbe l’anticamera di una sciagura nazionale, con l’evidente retropensiero che il Colle, per superiorità morale e diritto di usucapione, spetta solo al suo partito. Intendiamoci, non c’è nulla di sorprendente, perché la storia racconta che il Pd non è mai stato ai patti: quando Berlusconi, dicendo sì al governo Letta, offrì la pacificazione nazionale mettendo una pietra sopra a venti anni di persecuzione giudiziaria e di delegittimazione politica, la risposta fu la cacciata con disonore dal Senato, uno schiaffo terribile che non impedì però al Cavaliere di siglare il patto del Nazareno con Renzi, poi naufragato anch’esso per la scelta unilaterale di candidare Mattarella.
Dunque, lo slogan secondo cui Berlusconi è stato il politico più divisivo della seconda Repubblica, e che quindi non può aspirare al Quirinale, ha il vizio di origine di ribaltare le responsabilità di un bipolarismo guerreggiato che solo la sinistra ha voluto. La vera partita per il Colle inizierà a gennaio, ma il centrodestra non può accettare pregiudiziali sul suo fondatore, perché significherebbe ammettere che questa parte politica è tutta figlia di un Dio minore.