Quando esplose lo scandalo Palamara, il presidente Mattarella parlò senza giri di parole di “un quadro sconcertante di manovre per veicolare le nomine di importanti procure” e chiese di accelerare le riforme – a partire da quella del Csm – per restituire credibilità alla giustizia nel rispetto della Costituzione. Sono passati due anni, e il Parlamento ha approvato solo una controriforma, quella che ha abolito la prescrizione, l’ultima sbandata giustizialista che ha fatto a brandelli il giusto processo scritto a chiare lettere proprio nella Costituzione.

Mentre la proposta dell’ex ministro Bonafede di introdurre il doppio turno per la scelta dei componenti togati del Csm non farebbe altro che aumentare il peso delle correnti che si vorrebbero depotenziare: un salto dalla padella nella brace. Il fatto è che l’ennesimo scandalo innescato dall’avvocato Amara, con tanto di logge segrete, veleni, dossieraggi, oltre a una nuova guerra tra procure per accaparrarsi la titolarità dell’inchiesta rischia di far sprofondare l’intera magistratura in una vera e propria crisi di sistema. Per cui una vera, radicale riforma della giustizia non dovrebbe essere più rinviabile. Anche perché una sua parte non marginale è contenuta nel Recovery Plan da cui dipendono i fondi europei. Ma è difficile, se non impossibile, che questo Parlamento a trazione grillina riesca a mettere insieme i numeri per una svolta in senso garantista che ristabilisca i confini tra i poteri dello Stato.

In questi giorni, non a caso, è già sceso prepotentemente in campo l’apparato mediatico che ha alimentato il circo giacobino degli ultimi trent’anni, secondo il quale i pm hanno sempre ragione in nome della funzione redentrice del potere giudiziario nei confronti di una politica e di una società inclini sempre e comunque a delinquere. Per cui anche solo ipotizzare una minima riforma diventa un attentato all’indipendenza della magistratura, come se la sua credibilità – scesa ormai sotto ogni livello di guardia – dipendesse da subdole manovre esterne e non fosse stata invece compromessa da veleni intestini, faide di corrente e soprattutto da uno spregiudicato uso politico della giustizia dal partito onnipotente delle procure. Così, nel tentativo di oscurare la storia e la cronaca, si ribalta la realtà attribuendo al centrodestra che spinge per una commissione d’inchiesta la volontà di mettere il bavaglio al controllo di legalità che la magistratura deve esercitare nei confronti della politica.

E’ uno scontro che va avanti dai tempi di Tangentopoli, e che ha lasciato sul terreno carriere distrutte, governi caduti e riabilitazioni tardive con un’unica costante: nessun magistrato ha mai pagato per i suoi errori.