Do poco peso alle affermazioni a effetto di chi insegue le luci della ribalta in momenti drammatici dall’alto del proprio benessere offrendo soluzioni usa e getta per chi sta peggio di lui. C’è un antico adagio toscano che insegna come la reale quantità dei soldi dei ricchi e della fame dei cani sia nota solo a chi ce l’ha. Per questo non ho mai avuto troppo in simpatia Flavio Briatore che ha sempre criticato l’Italia (giustamente nell’an, meno nel quomodo) dal lettino di un resort in Kenya. A non tutti è dato il privilegio di fare soldi in Africa, avere casa a Londra, residenza fiscale a Montecarlo e dare giudizi sul proprio paese senza esserne troppo coinvolto. Tuttavia ho letto una sua dichiarazione che riassume bene il punto cieco in cui ci siamo ficcati con le nostre mani lasciando che la pandemia non solo mietesse vittime e provocasse una desertificazione economica e sociale mostruosa, ma facesse carne da macello anche delle istituzioni democratiche in un paese dove ormai i pesi e contrappesi, tipici delle repubbliche parlamentari, sono da tempo completamente saltati. Cito a braccio: il Governo non ha dichiarato il lockdown ma di fatto lo ha imposto ottenendo il medesimo risultato senza essere costretto a concedere ristori economici che non ci sono nelle casse dello Stato. Il paradosso ha un senso e si collega direttamente con la prossima elezione del Presidente della Repubblica. Parlare di nomi senza capire che l’emergenza sanitaria ha provocato una emergenza democratica è come preoccuparsi della temperatura dello spumante mentre l’aereo in fiamme sta per schiantarsi al suolo. Dei sondaggi su chi salirà al Colle interessa una fetta della popolazione infinitesimale. La maggioranza degli italiani non solo non si interessa di talk show o tribune elettorali ma non va più nemmeno a votare. Il popolo piccolo e minuto che fatica ad andare avanti ha capito più di tutti i tartufi e sepolcri imbiancati che pontificano sui giornali e in televisione che comunque vada arriverà un governo che non ha scelto e che non fa il proprio interesse. La cosa più drammatica però è che nessuno va più a scegliere nemmeno i Sindaci, elezioni la cui affluenza sfiorava, fino agli anni 2000, il 95% proprio perché vengono percepiti come figure svuotate di poteri e incapaci di risolvere i problemi reali perché privati degli strumenti e delle risorse necessari. Poco prima che l’Italia entrasse nell’euro, con un cambio fisso che era il prezzo del tradimento pagato da chi invece doveva fare il nostro interesse in Europa, l’allora Ministro del Tesoro del Governo Prodi, Carlo Azeglio Ciampi (poi assunto agli onori dell’Olimpo quirinalizio come ringraziamento del disastro avvenuto) disse a Der Spiegel: “l’Italia è pronta a qualsiasi sacrificio pur di entrare nell’euro!” come se certificasse l’esito di un referendum che era stata invece la scelta del circolo del bridge dei soliti noti. Non trovo molta differenza con le orazioni mussoliniane durante le quali il Duce, impersonificando il popolo italiano, si dichiarava pronto alla morte ora per conquistare l’Impero ora per entrare in guerra. A quelle dichiarazioni fanno eco quelle di Macron e delle Banche d’affari angloamericane che oggi auspicano la permanenza di Draghi a Palazzo Chigi. A che titolo e per chi parlano? La vera riforma da fare quindi sarebbe riscrivere l’articolo 1 della Costituzione sancendo che la sovranità appartiene al popolo. Punto! Un sovranità esercitata “nelle forme e nei limiti” è un paradosso perché, se limitata, diventa una contraddizione in termini in un sistema democratico. O la sovranità è piena e assoluta o non è. Lo scollamento tra paese reale e istituzioni è la vera ferita da sanare in questo momento drammatico pena una deriva difficilmente recuperabile.