L’Occidente ha abbandonato gli afghani al loro destino, condannando un popolo intero all’inferno oscurantista talebano, le cui fiamme sono già arrivate a Kabul col terribile corollario di vendette tribali, di ritorno alla sharia, al burqa obbligatorio per le donne e alle lapidazioni di piazza. L’Alleanza del Nord a cui gli Stati Uniti avevano dato sostegno venti anni fa per cacciare i seguaci del mullah Omar, e che ha governato il Paese sotto l’ombrello della coalizione internazionale, ora ha riconsegnato l’Afghanistan città per città al fanatismo islamico degli studenti barbuti. Per gli Usa e per la Nato è un fallimento epocale, di cui presto pagheranno le conseguenze in termini di instabilità geopolitica e di jihadismo, ma che nell’immediato espone chi ha lottato per costruire una democrazia laica e rispettosa dei diritti umani a rappresaglie e persecuzioni spietate. Se è vero che le tragedie della storia si ripetono in farsa, il ritorno dei talebani al potere costituisce un’eccezione alla regola, perché alla tragedia di allora si assomma una tragedia ancora più grande, non solo in Afghanistan, ma anche a livello di rapporti di forza globali. L’Occidente, infatti, perdendo questa partita strategica, non è più credibile, e la sua influenza nei teatri di crisi ne esce irrimediabilmente compromessa.
Il plateale tradimento degli afghani segue di poco, infatti, quello consumato nei confronti del popolo curdo, a cui fu affidata la missione di combattere sul terreno lo Stato islamico in Irak, ricoprendo alla fine un ruolo determinante nella sconfitta dell’Isis, ma poi messo da parte senza che nessuna promessa occidentale venisse mantenuta, nonostante l’altissimo prezzo pagato e il rifugio umanitario offerto alle minoranze cristiane e yazide, vittime sette anni fa di un vero e proprio genocidio.
L’area sotto controllo curdo ora si estende dal confine Iraq-Iran alla Siria, e la storica rivalità fra i curdi iracheni e i curdi siriani affiliati al PKK è stata in parte accantonata per combattere il Califfato. I curdi rappresentano l’unica autentica democrazia di quell’area cruciale, e la costituzione di un vero e proprio Stato rappresenterebbe un indubbio fattore di stabilità. Invece Stati Uniti e Unione europea due anni fa hanno dato via libera alla Turchia per entrare nel nord della Siria e “dare una lezione” ai curdi, che Erdogan definisce senza mezzi termini “terroristi”. L’Europa resta sotto la minaccia turca di spalancare i confini ai milioni di profughi siriani che trattiene sul suo territorio – un ricatto peraltro strapagato – e si comporta di conseguenza. Ma gli Usa hanno fatto anche peggio: nel ‘91 l’attacco chimico ordinato da Saddam sterminò migliaia di curdi, ma Bush padre, vincitore della prima guerra del Golfo, non ritenne di rischiare altre vite americane per intervenire in loro difesa. L’unica volta che i curdi sono riusciti a ottenere un riconoscimento è stato nel 2003 quando, dopo aver aiutato gli Stati Uniti durante l’invasione dell’Iraq, ottennero l’autonomia del Kurdistan iracheno. Poi Obama, Trump e ora Biden hanno scelto di uscire dalle aree di crisi, ma se l’Occidente batte in ritirata, rinunciando a fare l’Occidente, si apriranno destabilizzanti praterie di conquista per le potenze autocratiche e per i regimi islamici.